Io, Franchino e l’Età dell’Innocenza

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Sono tutti morti, tutti. E’ morta la prima repubblica è morta la seconda, è morto il Comunismo è morto Andreotti ed è morto pure il Rock.
Citando il grande Edgar Lee Masters “Tutti, tutti, dormono sulla collina” e sulla collina  dormono anche loro, i tanto amati e odiati  vocalist.
I pochi rimasti si trascinano come gli zombies di Romero in un non luogo dove il tempo è un loop perpetuo da cui è impossibile uscire.
Sono lì, bloccati ad officiare senza soluzione di continuità il solito rito di una “religione” ormai decaduta.
Come i vecchi professori sono degli eterni ripetenti con un pubblico sempre più sfuggente che, giorno dopo giorno invece di invecchiare diventa sempre più giovane.
La morte si sa, è dotata di uno spietato senso dell’umorismo.
Ma, c’è chi da tutto questo sta miracolosamente sfuggendo, Lui che il mestiere del vocalist l’ha inventato e forse proprio per questo è estraneo a questo perverso meccanismo.
E’ notorio si può estinguere il creato ma non il creatore. Il creatore è immune, per  lui il tempo è un concetto inesistente, lui c’è sempre stato e sempre ci sarà.
Io non ho memoria di un Franchino giovane ma allo stesso tempo non l’ho mai visto invecchiare.
Sono passati tanti anni da quando ho scoperto la sua esistenza ma lui è sempre rimasto uguale, come un eroe dei fumetti o ancora meglio il Padre eterno nelle icone che lo raffigurano.
Mi ricordo una registrazione di una vecchia tape  nella quale dopo l’ennesimo saluto al festeggiato di turno il nostro , probabilmente scocciato  esclamava (cito a memoria) “ragazzi smettetela di compiere gli anni perché se continuate così… invecchiate”, probabilmente questo consiglio il buon Franco lo ha seguito per primo lui stesso.
Certo, qualcuno mi dirà che ogni anno Franchino festeggia il suo compleanno nella tradizionale serata ma, lo sappiamo tutti  in realtà si tratta solo di finzione, di puro teatro ,perché la verità è che lui non ha un’età definita.
E’ leggero come una farfalla Franchino, piccolo, fragile, inafferrabile: un pò folletto e un pò cappellaio matto.
Ho sempre odiato il ruolo del vocalist, un giorno al mio caro amico, Master Enjoy voce storica del Red Zone di Perugia ho detto: “Valerio sei il mio vocalist preferito perché a differenza della maggior parte dei tuoi colleghi sai anche tacere“.
Ora, al di là del fatto che in realtà questa frase non rende giustizia al buon Master che è un artista completo e sa fare tantissime cose, c’è da dire però che, mentre gli dicevo questo non scherzavo affatto;  ho sempre ritenuto fastidiosa e dannosa la presenza del vocalist all’interno di un djset.
Con Franco però  il discorso cambia un pochino perchè non stiamo parlando di un vocalist ma di qualcosa che va oltre.
Va oltre perché nel suo caso non è  la sua voce che si intromette nella musica ma la musica che fa da “collante” tra un suo discorso e l’altro.
Le sue performance sono qualcosa di concettuale e vanno considerate in quel contesto.
Franchino ha un timbro di voce esile e ruvido nel contempo con il quale scandisce frasi nonsense con un “ritmo” ipnotico.
Frasi composte da frammenti di pensieri provenienti da un continuo flusso di libere e misteriose associazioni di idee. Una miriade di link che ti portano a navigare a vista
Franco è un dadaista e il suo è puro teatro dell’assurdo. Con il microfono ha il potere di trasformare qualsiasi locale nel Cabarat Voltaire.
In consolle sembra un pò il Charlotte di Chaplin e un po’ Michael J. Anderson nel ruolo del nano di Twin Peaks, alterna momenti di purezza al limite dell’ingenuità ad altri dove lancia sul pubblico dei sorrisi e degli sguardi intrisi di inquietante follia.
Un personaggio perfetto per un film di Fellini o ancora meglio di Sorrentino.
Sia chiaro, con tutto il rispetto non vorrei in consolle nemmeno Franchino, visto che resto un convintissimo sostenitore del movimento “no-vocalist”  tuttavia, al di là di questo, sono contento che nonostante la crisi del mestiere Lui sia ancora lì a calcare le scene, sono contento perché nell’effimero mondo della notte la sua “esile” figura paradossalmente è quasi una sicurezza, una delle poche sicurezze rimaste.
La sua presenza quasi metafisica, ha accompagnato buona parte della mia gioventù; io non ero mai presente nelle sue serate, ma lui, che lo volessi o meno era comunque  nel mio immaginario.
Ecco, Franco per me rappresenta proprio questo, un pezzo della mia gioventù, un qualcosa che magari non ho mai cercato ma che, inevitabilmente fa parte della mia vita.
Una di quelle “cose” come la tazza dove la mattina bevevo il latte, la vecchia zia che si incazzava se giocavo a pallone vicino i suoi fiori, il tè con i biscotti della mamma nei pomeriggi invernali, la hit che sentivo in tutte le radio nell’estate del mio primo bacio che, per qualche misteriosa congiunzione astrale sono entrate nella mia vita per non uscirne più.
Quando, nelle mie lunghe notti insonni guardo l’orologio, spesso mi sembra di sentire la sua voce che lentamente scandisce l’ora: “sono le 4 della magnana” e in quel momento sorrido con un pò di malinconia pensando ai miei 16, 17  anni, quando “la musica non era più musica ma magia” e il biondo Ricky Le Roy iniziava sempre i suoi set con quel pezzo.. come si chiamava? Quello che più o meno faceva così: “no ma do ue iu go a uil faindiu

Lunga vita a Franchino.

Samuele Dalle Ave

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