Cold Meat Industry: Chiude i battenti la storica label industrial svedese

0
2344

Sembra strano scrivere il necrologio per una label che si è sempre circondata di immagini mortifere, funeree e pestilenziali. Eppure, da poco Roger Karmanik ha annunciato la definitiva chiusura della Cold Meat Industry, che aveva fondato ventisette anni fa e diretto fino ad oggi.
Lo stato di salute dello storico marchio di Linköping non era certo dei migliori da ormai parecchi anni, ma non si può non provare malinconia di fronte alla notizia della sua dipartita.
Chi ha seguito l’evoluzione dell’industrial music nel corso della sua storia decennale, sa infatti che l’”industria della carne fredda” ne è stata pietra angolare.

Era l’agosto del lontano 1987, infatti, quando uscì il primo titolo di quello che sarebbe diventato un catalogo senza eguali di estremismo sonoro, innovazione e creatività, destinato ad influenzare centinaia e centinaia di epigoni, quando non di puri e semplici imitatori.
Lille Roger
, progetto personale dello stesso Karmanik, dopo una serie di cassette e vinili ultra-underground, marchiò a fuoco il debutto della nuova label con l’EP 7” Undead, che è oggi uno dei più ricercati di tutti i tempi in campo industrial.
Si era in un’epoca, la fine degli anni ’80, in cui l’interesse da parte del pubblico per le sonorità industriali classiche, comprese le filiazioni estremistiche del noise e del power-electronics, era scemato moltissimo, con il termine stesso “industrial” che aveva inglobato influenze molto diverse e veniva usato correntemente per definire band dedite all’elettronica più ballabile, quando non al rock vero e proprio.
La Cold Meat Industry, assieme alla coeva Tesco Organisation, ebbe il merito di portare alla luce artisti sconosciuti con un approccio senza compromessi al suono ed alla sperimentazione. Interessante anche il fatto che, con un pizzico di nazionalismo che non guasta, l’intera scuderia CMI dei primi anni fosse composta esclusivamente da nomi provenienti dalla Svezia.

Molti di loro, come Deutsch Nepal, Raison d’être, Maschinenzimmer 412, Brighter Death Now, In Slaughter Natives, Mortiis e Ordo Equilibrio, divennero vere e proprie star nella scena industrial degli anni ’90 e 2000, con numerosissime apparizioni nei grandi festival internazionali e dozzine di uscite discografiche, mentre altri sparirono velocemente, lasciando comunque un segno indelebile con piccoli capolavori degni di riscoperta e culto sfrenato: è il caso di Memorandum, Mental Destruction, Aghast e Morthound, per citarne un paio.
Questi oscuri personaggi si conquistarono un posto di rilievo sulle riviste specializzate e negli ascolti dei fan grazie all’originalità delle loro proposte ed alla sempre eccellente veste grafica ed estetica con la quale gli enigmatici dischi si presentavano.
Roger Karmanik si occupava personalmente dell’intera parte grafica della label, dalle copertine ai flyer, dai bollettini agli inserti, e riuscì a creare da un subito un marchio di fabbrica inconfondibile: gli slogan della label parlavano di “morbosità nordica” ed “oscurità scandinava”, ma probabilmente il più geniale rimane quello che campeggiava all’apertura del sito internet: “Per chi se la sente di lasciarsi trascinare nella colonna sonora degli incubi di qualcun’altro”.
Le immagini scelte, giustamente, ritraevano quasi sempre scheletri, teschi, morti ammazzati e cimiteri.
Attenzione però, qui non c’era posto per vampiri, romanticismo e suggestioni gotiche: la musica della Cold Meat Industry cercava di restituire il suono della morte dell’anima, dell’angoscia e del vuoto che ci divora inesorabilmente. Una visione da incubo come situazione esistenziale, insomma.
Se alle origini la label pubblicava solo su vinile in edizione limitata e lasciava volutamente che i proprio artisti, per lo più progetti esclusivamente da studio, rimanessero avvolti nel mistero e nell’anonimato, con il progredire degli anni ’90 la loro popolarità accrebbe al punto da costringerli a confrontarsi con il pubblico di un concerto.

Si tennero così i primi Cold Meat Industry Festival in Germania, paese da sempre aperto e ricettivo per le avanguardie artistiche, e successivamente anche nel resto d’Europa, Italia compresa. Anche se, spesso e volentieri, le esibizioni si riducevano ad una base registrata su nastro coadiuvata da proiezioni video e qualche parte cantata, l’emozione di poter veder dal vivo questi personaggi di culto richiamava appassionati da ogni parte.
Il primo decennio di attività fu certamente il più florido per la label svedese, con molti album fondamentali pubblicati a ritmo incessante.
Venne addirittura coniato il termine “death industrial” per definire la musica di Brighter Death Now, progetto solista di Roger Karmanik che raccolse il testimone di Lille Roger a partire dal 1988.
La ricetta svedese era di tale pesantezza ed estremismo da far passare Throbbing Gristle e Cabaret Voltaire per semplici millantatori.
Parallelamente, opere seminali come This Crying Age di Morthound e Prospectus I di Raison d’être davano nuovo significato alla dicitura “dark ambient”.
Verso metà degli anni ’90, la Cold Meat Industry si aprì al mondo, accogliendo prima artisti dal resto della Scandinavia, Norvegia in primis, e poi da altri paesi. Con l’aumento della contaminazione il livello qualitativo medio cominciò a calare, con i nomi nuovi che non si dimostrarono all’altezza di quelli storici, ed uno spostamento delle sonorità dall’industrial e dark ambient sempre più verso il neofolk e l’ethereal di scuola Dead Can Dance.
I problemi personali di Karmanik e la continua emorragia di artisti hanno decretato la fine di una delle realtà più rappresentative di sempre nel campo dell’elettronica estrema.
Ci consola un pochino leggere che, parallelamente alla chiusura della label, il grande capo ha annunciato anche la propria imminente resurrezione musicale. Restiamo in attesa.

Nel frattempo, ecco una piccola discografia essenziale per chi scopre solo adesso i miasmi sonori della Cold Meat Industry, o per chi vuole dare una bella ripassata ricordando i bei tempi andati:

CMI.07 – MASCHINENZIMMER 412 – Malfeitor (1989).
L’esordio di coloro che in futuro sarebbero diventati piuttosto celebri con la sigla abbreviata in Mz.412. Le tendenze sataniste ed i flirt con l’immaginario e l’estetica del black metal non avevano ancora preso il sopravvento in questa prima incarnazione, che vive di ritmi robotici, percussioni metalliche e voci sibilanti ed oltretombali. Musica per mattatoi, camere a gas ed ospedali psichiatrici abbandonati. Come se, per una sera, SPK e Test Dept. si fossero fusi in un’unica entità.

CMI.12 – MORTHOND – This Crying Age (1991).
Il prototipo perfetto del dark ambient nordico. Benny Nilsen, sotto la denominazione Morthond e poi Morthound, ha prodotto tre album completamente diversi uno dall’altro, senza mai fossilizzarsi in un unico genere. L’esordio lo lancia nell’olimpo dei maestri indiscussi della “morbosa musica nordica”. Ambientazioni sonore tetre e deprimenti, trasudanti angoscia e disperazione, che avanzano lente come la melassa, solo occasionalmente interrotte da un ticchettio, una melodia di tastiera funerea o una voce spettrale. Il genere darà vita ad infiniti cloni fino alla saturazione ed alla noia assoluta, ma This Crying Age rimane un capolavoro senza tempo.

CMI.18 – RAISON D’ÊTRE – Prospectus I (1993).
L’altro grande maestro del dark ambient nordico è indiscutibilmente Peter Andersson con il suo progetto Raison d’être. Iperprolifico ed attivo con una mezza dozzina di pseudonimi, è quasi sempre riuscito a mantenersi su livelli più che dignitosi ed a sfuggire alla trappola della ripetizione, almeno per quanto riguarda il suo alter ego principale. Prospectus I è un album unico e prezioso, dove alle sonorità dark ambient di matrice gotica (con abbondante uso di campane e canti gregoriani) si fondono timpani marziali, melodie orchestrali ed elementi anche fortemente ritmici. Musica sacrale che evoca una Cristianità medioevale tetra ed inquietante.

CMI.23 – BRIGHTER DEATH NOW – Great Death (1994).
La Grande Morte. L’opera definitiva di Roger Karmanik nelle sepolcrali vesti di Brighter Death Now. Due CD (più un terzo che si poteva ordinare tramite apposito coupon incluso nel boxset) di puro orrore industriale, inesorabile e polverizzante. Muri di rumore analogico inesorabile, gelide ed ossessive drum machine che battono come campane a morto e voci sepolcrali e gorgoglianti che annunciano torture, sadismo, pedofilia, decadenza fisica e spirituale. Questa follia all’epoca venne pubblicizzata come “la colonna sonora del vivere rinchiusi dentro una bara”. Ascoltando mostruosità come Anvs Preparati, Certified Dead ed Evisceration, non si può che essere d’accordo.

CMI.24 – MEMORANDUM – Ars Moriendi (1995).
Antologia retrospettiva che raccoglie tutto il materiale registrato da questa cult band svedese tra il 1986 ed il 1994. Petter Marklund si muoveva in un universo fatto di potenti percussioni metalliche, ritmi tribali ed un immaginario da vero sciamano post-industriale. L’album d’esordio Aux Morts, qui raccolto, è tutt’ora impareggiabile. Molto belle anche le contaminazioni electro del successivo 12” Ichor. Un progetto che avrebbe meritato molto di più.

CMI.33 – AGHAST – Hexerei Im Zwielicht Des Finsternis (1995).
Un disco da non ascoltare mai a notte fonda, per nessun motivo! Poche registrazioni riescono ad essere terrificanti quanto l’unico parto delle Aghast, duo di streghe norvegesi dedito ai più oscuri rituali nelle tetre foreste nordiche. Con sonorità rigorosamente lo-fi, agghiaccianti voci filtrate e cantilene spaventose, queste inquietanti creature riescono davvero a farvi pensare che la vostra stanza sia infestata da oscure presenze.

CMI.47 – MENTAL DESTRUCTION – Straw (1996).
Pensavate che una band industrial di devoti cristiani fosse impossibile? Per altro, i fratelli Durling non sono nemmeno stati i primi (come dimenticare i mitici Blackhouse, con i loro dischi che rendevano lode al Signore con sonorità power-electronics di inaudita durezza?). Straw è il terzo ed ultimo dei loro lavori in studio, e ne sintetizza al meglio la personalità: una voce filtrata urlante e furiosa, rumori industriali assortiti, percussioni metalliche martellanti ed occasionali melodie funeree per organo. Non sembrerebbe la formula più adatta per assicurarsi la salvezza dell’anima, eppure i testi dei Mental Destruction parlano esattamente di peccato e redenzione, seppur con toni squisitamente apocalittici.

CMI.55 – ARCANA – Cantar De Procella (1997).
Una delle prime e più riuscite variazioni sul tema nel catalogo della Cold Meat Industry furono gli Arcana, un duo dedito a sonorità ethereal dal sapore sacrale e neoclassico, con evidenti debiti verso i Dead Can Dance. Con vari cambi di formazione (e di moglie per il leader Peter Petterson), la sigla continua tutt’oggi verso strade sempre più influenzate dall’etnico, proprio come i loro ispiratori australiani, ma le atmosfere medioevali e magniloquenti di piccole gemme quali Aeterna Doloris, Cantar De Procella e Chant Of The Awakening rendono questo album inarrivabile.

CMI.63 – PUISSANCE – Back In Control (1998).
Con quest’altro duo, l’etichetta di Karmanik cominciava non solo a flirtare apertamente con l’universo del black metal (entrambi i titolari del progetto erano infatti attivi anche in quella scena), ma altresì a giocare con il fuoco delle tematiche controverse. Se putrefazione, morte e distruzione non scandalizzavano ormai che qualche benpensante, con i Puissance ci si spostava direttamente sul politico, con canzoni inneggianti al genocidio, alla dominazione del genere umano con il pugno di ferro, al totalitarismo ed alla misantropia più paranoica. Pericolosi estremisti dalle forti simpatie neonaziste, oppure, a giudicare dalle foto, dei semplici buffoni? La verità corre sul filo del rasoio, e l’ambiguità decretò il successo di un vero e proprio sottogenere chiamato “martial industrial”. Pezzi come Totalitarian Hearts, Command & Conquer e Love Incinerate sono scanditi a tempo di marcia, con orchestrazioni dal sapore wagneriano ed una voce stentorea che scaglia proclami di odio e guerra.

CMI.64 – ORDO EQUILIBRIO – Conquest, Love & Self-Perseverance (1998).
Prima di mutare in Ordo Rosarius Equilibrio e perdere definitivamente la bussola, Tomas Petterson e la sua compagna di allora Chelsea riuscirono a realizzare questo album dalle atmosfere pregevoli ed ammalianti. Se i primi due lavori erano assemblati con mezzi di fortuna, la terza prova in studio intraprese la direzione di un folk dai toni talvolta intimisti, talvolta solenni, coadiuvato da voci cantilenanti che articolano testi infiniti incentrati sull’individualismo ed il libero arbitrio. Seppure tutta la musica, comprese le chitarre acustiche, sia campionata, brani come The Blind Are Leading The Blind Are Leading The Blind e Conquest, Love & Self-Perseverance. The Gospel Of Aptitude rimangono tutt’ora un piacevole ascolto. Semplici, ma efficaci.

CMI.69 – SEPHIROTH – Cathedron (1999).
Ulf Söderberg
registrò due capolavori a nome Sephiroth, Cathedron (1999) e Draconian Poetry (2005). Entrambi i dischi vivono di atmosfere epiche e sospese, nelle quali cupe tastiere orchestrali da colonna sonora cinematografica si alternano a travolgenti ritmi tribali, trasportando l’ascoltatore verso luoghi e civiltà dimenticate dal tempo. Un vero e proprio viaggio sonoro di inquietante bellezza.

CMI.92 – MEGAPTERA – Beyond The Massive Darkness (2001).
I Megaptera furono tra i pionieri della corrente “death industrial”, assieme allo stesso Brighter Death Now. Tra i primissimi artisti affiliati alla Cold Meat Industry, non pubblicarono in realtà mai niente per la label svedese, se non questo doppio CD retrospettivo che ristampa l’album d’esordio Songs From The Massive Darkness (1992) ed il successivo Beyond The Shadow (1994). Le loro sonorità sono meno aggressive di quelle di BDN, ma, se possibile, perfino più disturbanti. Tra frasi campionate da noti film horror, battiti di lamiera ossessivi, lividi tappeti sonori e titoli che evocano paura, follia e paranoia, i Megaptera sono un altro classico imperdibile della “morbosa musica nordica”.

CMI.127 – DEUTSCH NEPAL – Deflagration Of Hell (2003).
Ristampa della cassetta d’esordio datata 1991, Deflagration Of Hell è un album che riesce ancora a stupire per il bizzarro assortimento di suoni ed atmosfere che contiene. Ogni traccia è in pratica un microcosmo a sé, che viaggia tra ritmiche tribali, ipnotici paesaggi sonori ed atmosfere dal sapore acido che svelano l’enorme passione di Lina Baby Doll (al secolo Peter Andersson) per il kraut rock anni ’70. Su tutto dominano i monolitici undici minuti dell’inesorabile The Hierophants Of Light.

CMI.135 – IN SLAUGHTER NATIVES – Resurrection (2004).
Il ritorno del Re. No, non si tratta del terzo capitolo cinematografico de Il Signore Degli Anelli, anche se, musicalmente parlando, avrebbe calzato come colonna sonora in alcune sequenze. Il personaggio in questione è Jouni Havukainen, il primo artista ad incidere per la Cold Meat Industry dopo Roger Karmanik stesso. L’omonima cassetta d’esordio di In Slaughter Natives uscì nel lontano 1989, mentre altri capitoli fondamentali, quali Enter Now The World e Sacrosancts Bleed, seguirono negli anni successivi. Dopo un’assenza lunghissima, Havukainen tornò sulle scene con Resurrection, un lavoro eccezionale che spingeva al meglio delle sue potenzialità il genere di cui fu tra i pionieri, poi ribattezzato “martial industrial”. Tra ritmi marziali, lugubri cori e campionamenti orchestrali, la musica di ISN è una degna colonna sonora per l’avanzata di un esercito di orchi assetati di sangue.

CMI.205 – IRM – Order⁴ (2010).
L’ultimo grande gruppo approdato alla Cold Meat prima della sua dissoluzione. Il trio guidato da Martin Bladh ha saputo evolversi con intelligenza dall’iniziale power-electronics alle sonorità rituali dei lavori successivi, per poi approvare con Order⁴ ad un surrealismo degno dei migliori Nurse With Wound e maledettamente inquietante. Indubbiamente, il capolavoro finale della label di Linköping.

Simone Valcauda aka Simon Valky

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here