Senso di fatalità e ineluttabile rovina sono stati gli elementi cardine dell’anno musicale appena archiviato.
Tra profezie sulla fine del mondo e ritrovato gusto per drappi neri e cinghie di lucido cuoio, siamo stati testimoni privilegiati di quanto sia fragile la nostra civiltà.
Il Mercato si è rivelato essere una divinità subdola ed incline al tradimento, che prima ti riempie la pancia e poi, quando ti abbiocchi, in un istante ti taglia la gola con il coltello del dessert. Dal canto suo la Technologia non ammette altre confessioni al di fuori di sè stessa.
Milano è la capitale dell’impero in cui si muove Giona Vinti che, nelle oscure vesti di Hyena, si mescola tra le anime dannate per raccontarne i tormenti.
La paura di non essere scoperto e catturato da sicari in doppiopetto, unita alla voglia di avvicinarsi quanto più possibile all’obiettivo, spinge il nostro ninja del beat a premere sull’accelleratore anche a rischio di un’overdose di adrenalina.
Atrabile prende le mosse da Beauty Lies In The Depths Of The Night, una soundtrack da tramonto sullo sfondo di un desolante skyline.
Machine State Oppression è composta direttamente con fucili laser e acciaio, mentre l’inquieta Whales Attacking The Suboceanic Interconnect infonde energia anche a chi è cosciente che ormai tutto è perduto.
Chi si destreggia nell’underground non perde mai la speranza e qui il sottobosco è una metropoli in fermento.
Le mitragliate di Tanzhall 666 offrono una chance di contrattacco, ma su Furore il fiato inizia a mancare.
La battaglia infuria, sangue ed arti meccanici sono ovunque (Old Order); tocca agli hackers darsi da fare per liberare la popolazione dal controllo mentale. La password del main frame è Clickety Clack.
Gli esseri umani, un tempo dominatori di ogni specie vivente, adesso sono loro a vivere in gabbia chissà che non trovino aiuto proprio negli animali (Civilization Of Death (Animal Liberation Now!)).
Opium Eaters è il preludio a Shape Of My Despair, il dolore che resta dopo ogni guerra, anche se combattuta soltanto dentro di noi.
Federico Spadavecchia