Dissonanze ’09: Never Stop Discovering

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Al grido di Never stop discovering! durante questo weekend Roma è stata investita del ruolo di Capitale Europea della Musica Elettronica; il mastodontico Palazzo dei Congressi nel quartiere dell’Eur ha infatti ospitato la nona edizione del festival Dissonanze.

Il programma dell’evento, suddiviso tra venerdì e sabato, è stato quanto mai ricco e per questo mi è pianto davvero il cuore a non esser riuscito a scendere già la prima sera soprattutto per lo showcase della label tedesca Raster Noton, ultima vera fortezza del suono minimale di ricerca, anche se d’altra parte mi sono evitato l’immondo spettacolo dei ragazzetti strafatti accorsi in massa per Magda, che ormai manco fa il tea e serve giusto a batter cassa in tutti i sensi.

L’impatto col Palazzo dei Congressi è un qualcosa che toglie il fiato: lasciata infatti l’eleganza di piazza di Spagna e la genuina convivialità di Trastevere, finire all’Eur è uno shock violento e spiazzante come vedere Mike Tyson vestito da ballerina classica.

In questa zona della Capitale si respira ancora forte l’aria del regime che fu e della austera burocrazia, ma allo stesso modo, grazie anche a Dissonanze, se ne può apprezzare lo slancio futurista marinettiano alla ricerca di un’ideale modernità architettonica e artistica.

Appena il tempo di entrare e salutare gli amici (e scoprire che la timetable è già cambiata) che nel salone principale Lindstrom sta iniziando la sua performance live.

In pratica si tratta di lunghe suite a base di italo disco anni ‘80, un paradosso ciclico che vuole un algido norvegese dilettare un pubblico latino utilizzando note caciarone, di solito al servizio di gemme Pop da 3 minuti, come fosse un progrocker anni ‘70 con sequenze decisamente troppo lunghe e monotone.

Saliamo quindi a prendere una boccata d’aria sulla terrazza dove troviamo la crew dei Radioclit, niente di innovativo per carità, ma loro ci credono e la gente nelle prime file se la spassa alla grande.

Nell’atmosfera intima del cinema/aula magna, invece, si esibisce la pupilla di Herbert col suo progetto Micachu & The Shapes, unione di indierock ed elettronica che rimane attualmente fuori dalla mia tazza di tea per cui meglio tornare all’aperto per i Buraka Som Sistema, uno dei gruppi con più hype del momento.

Il collettivo formato da un Dj, un percussionista e tre vocalist spinge agli estremi i limiti del crossover, centrifugando insieme attitudine HipHop, percussioni house (di quelle che tanto piacciono a Kevin Saunderson), ultra bassi con ritmiche dubstep ed espliciti omaggi alla commerciale italiana di metà anni ‘90 e inizio 2000: Snap! e Benny Benassi. Ok divertente ma, siccome un bel gioco dura poco, consiglierei loro un live di non più di mezz’ora, quanto invece a chi li definisce the next big sensation beh posso solo rispondere con un don’t belive the hype.

Sono le due ed è il momento di colui per il quale mi sono sparato 10 ore su un lurido treno costato l’ira di Dio: Laurent Garnier.

Serve ancora che vi spieghi di chi stiamo parlando? Di come ha iniziato la sua carriera al leggendario Hacienda di Manchester e di come oggi si parli addirittura di un film estratto dalla sua biografia bestseller in Francia?

Laurent è uno di quei geni poliedrici a cui potrebbe venir bene qualsiasi cosa, un cuoco a cui bastano pochi semplici elementi per preparare prelibatezze da gourmet, un raffinato direttore d’orchestra che fa sudare il vigoroso Funktion One come il più aggressivo dei Dj hardcore facendo girare 3 ottimi musicisti (e il producer Scan X) al posto dei vinili.

Il concerto è un turbine di atmosfere che vanno dall’house, al dubstep ai breaks e al jazz: chissenefrega se non c’è la cassa dritta! L’impatto sonoro è così emotivamente devastante che stare fermi è impossibile fino ad arrivare al climax dell’ultimo singolo Gnamankoudji e del super classico The man with the red face, con al sax proprio Monsieur Philippe Nadaud, che scatena il degenero più assoluto!!

A riportare tutti coi piedi per terra ci pensano gli A Critical Mass, vale a dire Ame, Dixon ed Henrik Schwarz, colonne portanti della corrente cosiddetta nuhouse facenti riferimento all’etichetta berlinese Innervisions.

Melodie eteree e arpeggi suggestivi si rincorrono su un morbido beat a 120 bpm, la velocità del cuore umano, forse non proprio adatti a quell’ora (non sarebbe stato meglio scambiarli con Kenny Larkin venerdì?) ma davvero piacevoli.

Intanto nell’aula magna un noise assordante pone fine al catarchico live dell’ex Throbbing Gristle Peter Christopherson e tocca ai Salem salire sul palco. La formazione wave di Chicago, 2 sintetizzatori e una voce, ricorda nel look gruppi storici degli anni ‘80 come i Visage mentre nei modi, bevendo e fumando al posto di suonare, pare più una brutta copia dei nostrani Skiantos, che però on stage si preparavano la pasta e quella sì che era arte.

Insomma aquesti cari depressi ragazzi americani consiglierei di non esagerare col tavernello diluito nel quaalude.

A chiudere il programma della sala è Actress, con un fuori contesto e per di più sfortunato ableton dj set sempre in crash.

La conclusione dell’evento spetta invece ad una vera LEGGENDA della console che ha fatto ballare almeno 3 generazioni di clubbers: Francois Kevorkian.

58 anni e picchiare forte con la rabbia di un punk adolescente ma con la consapevolezza di chi sa con certezza dove vanno incastrati i dischi, tasselli di un puzzle chiamato dancefloor, Francois è un fine artigiano che ci regala due ore di alta classe con un set Techno propriamente detto: bpm sostenuti e groove a non finire, andando a rispolverare vinili che la moda del lento minimal ci aveva fatto dimenticare, resuscita perfino la Napoli che abbiamo amato di più, quella hardgroove firmata Rino Cerrone e Gaetano Parisio.

Alle 6 i primi raggi del sole illuminano il Palazzo dei Congressi, il party è finito e si può tornare a casa contenti sognando già il nuovo appuntamento con Dissonanze.

Federico Spadavecchia

 

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