Steve Albini è vivo e lotta insieme a noi

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Abbiamo lasciato volutamente sgasare la frenesia dei copia-incolla da Wikipedia che ha accomunato la maggioranza delle testate in questo triste frangente (è già un fatto positivo che da qualche parte non sia stato chiamato “il noto musicista heavy metal”, ma calma – non abbiamo avuto il tempo di leggere tutto) e abbiamo atteso la pubblicazione di “To All Trains”, nuovo, e purtroppo definitivo, album degli Shellac.
I riferimenti alla morte sono probabilmente frutto del caso ma molteplici, ricavati col senno di poi ma comunque. In copertina, un salone di una stazione ferroviaria che potrebbe sembrare un mausoleo; la foto promozionale con i tre musicisti avvolti in lenzuoli/sudari; “Wednesday”, il loro brano che più assomiglia a una marcia funebre; una frase di “Scabby The Rat”: Scabby The Rat does not fear death; e l’ultimo brano, quello che li affida alle mani della storia: “I Don’t Fear Hell”, in cui Albini canta:

Something something something when this is over
I’ll leap in my grave like the arms of a lover
If there’s a heaven, I hope they’re having fun
Cause if there’s a hell, I’m gonna know everyone

Insomma il tutto suona stranamente profetico. La musica è come la vogliamo: austera e di maniacale precisione, si affida alla sacra trinità del rock basso-chitarra-batteria, pochissimo effettata, con più vuoti che pieni: merce rara in tempi di medioevo culturale in cui vige l’horror vacui, la fobia del silenzio e dell’attesa – Albini conosceva bene l’odierna dittatura delle frequenze midrange e ovviamente se ne teneva alla larga.
Col passare del tempo e contrariamente al consueto percorso delle band (sia maledetto il disco con l’orchestra) gli Shellac si sono addirittura asciugati stilisticamente e ragazzi, pagherei per imbracciare quella chitarra e sentire come vibra sotto le mie mani. E sono incisivi, sia riguardo l’aspetto compositivo che il sound, non voglio lasciarmi travolgere dall’entusiasmo ma credo sia la prima volta negli ultimi 25 anni che non spengo bestemmiando un album rock nuovo dopo 2 minuti (anche “pre-, post-, senza essere mai stato niente”, per citare gente che oggi farebbe bene a restare a casa propria col plaid sulle gambe). A questo proposito gli Shellac sono l’unico degno epitaffio di un genere ammuffito male e impagliato peggio.
Steve Albini é stato una garanzia di serietà assoluta: come musicista, come tecnico del suono, al punto di modificare il mio modus operandi di acquisto discografico – non guardavo più solo chi fosse il chitarrista, o l’etichetta, o al limite la copertina accattivante, ma cercavo tra le note il suo nome preceduto da “produced by” – ed era acquisto a scatola chiusa.
Anche in Italia ha lasciato un segno profondo producendo, tra i tantissimi, gruppi di livello come Uzeda, Three Second Kiss, Zu, Bellini, 24 Grana.
Per tacere della sua mentalità inattaccabile e delle sue uscite come critico musicale (in rete si trovano le sue esilaranti recensioni per la rivista Forced Exposure in cui mette in ridicolo i dischi per cui ha lavorato).
Il pieno non c’è più e il vuoto è incolmabile. Per i coccodrilli leggete Wikipedia che almeno non c’è pubblicità. Noi continueremo a lottare.

Andrea Cazzani