Molto spesso quando si parla di scena olandese ci si concentra soprattutto sui grossi festival che, con le loro lineup da capogiro, fanno dimenticare momentaneamente quanto sia altrettanto valida la routine quotidiana del clubbing cittandino.
A metà strada tra Londra e Berlino per ricchezza e qualità di offerta, Amsterdam si conferma un punto fermo nella rotta della musica elettronica. Certo, anche da queste parti dello stile di vita bohemien degli artisti è rimasto giusto il mito, c’è un businessplan per ogni idea e le timetables si decidono dal commercialista. Non soltanto gli squat storici sono stati barabaramente smantellati dalla polizia, perfino le leggendarie vetrine del red light district han dovuto cedere il passo alla speculazione immobiliare.
Nonostante i casini della globalizzazione e il propagarsi di sentimenti pseudonazionalisti però, la Capitale d’Olanda ha comunque mantenuto una forza d’attrazione notevole; il suo sviluppatissimo senso degli affari le ha inoltre impedito di svendersi in toto mettendo ben in chiaro i vantaggi economici derivanti da un florido panorama culturale.
Un’aria rilassata e in fin dei conti ottimista, che sostiene i giovani che aspirano a lavorare nell’arte. E’ bastato un po’ di hype sulla “ripresa” del mercato del disco per far sì che negozi iconici, ancora lo scorso anno in coma irreversibile, si siano rilanciati con forza (fate un passo ai quattro locali di Concerto per rendervene conto) e ne siano nati di nuovi. Nel cuore del quartiere a luci rosse abbiamo adesso una radio, la sede del Dekmantel e due spacciatori seri di vinile.
Un altro esempio illuminante è la storia del Trouw, per la terza volta risorto dalle sue stesse ceneri. Essendo già passati attraverso l’esperienza dell’Eleven, i ragazzi non si sono persi d’animo e sono tornati alla carica con il Closure, un vasto basement in pieno centro.
Il club è stato riconvertito da locale gangsta a novello Berghain: spazi spogli nel cui buio domina un imperioso Funktion One, prezzi contenuti e una door policy che ricorda da vicino quella del primo Watergate, perciò se volete entrare informatevi su chi suona.
Noi ci siamo andati a sentire Abdullah Rashim. Lo svedese ha proposto un djset alla vecchia maniera, proponendo due ore di textures mentali sospinte da battiti dark. Una carburazione lenta ma inesorabile, che ha portato il pubblico a esplodere sotto i successivi colpi senza pietà della resident Sandrien. Torneremo senz’altro.
Benchè lunedì fosse la prima festa dedicata al Re Willem, il motivo del nostro viaggio nella terra dei tulipani è il party Reaktor/Unpolished III. Organizzato in un capannone nel settore industriale della città, la serata ha la dinamica di un rave anni ’90. Poche informazioni in rete se non quelle necessarie; all’interno nemmeno uno straccio di running order (comunicato con uno scarno post su Facebook). Per il resto solita puntualità arancione: file ben gestite, anche se non c’era posto nemmeno per uno spillo e l’idea poco brillante di spegnere la musica in entrambe le sale contemporaneamente, e sound system da grandi occasioni.
A darci il benvenuto Ancient Methods in una versione un po’ diversa ma non per questo meno instensa, molto vicina al post punk metallico di Powell. Karl O’Connor e James Ruskin in da house. Gli O/V/R/ si esibiscono in uno show ispirato, techno che torna a raccontare un futuro di battaglie cibernetiche e assalti galattici. Molto meglio degli ultimi live di Regis in solitaria.
Il mood scifi punk sfocia nella violenza sonica con AX&P, vale a dire Adam X Kenobi assieme al giovane Perc Skywalker: la forza ha trovato l’equilibrio nella techno e la Morte Nera batte dirtta in ritirata. Più di un’ora di duelli in tag team e poi il pupillo a chiosare con un vortice di lamiere arrugginite. Tocca a AnD incidere un messaggio per i posteri sopra una cassa granitica lanciata a velocità folle contro l’ignoto. Il duo di Manchester dal vivo è garanzia di divertimento.
Sono le 6.00 e l’incantesimo finisce: da 120 db a zero in 3 secondi netti. Non siamo a Berlino qui le regole si rispettano anche nel delirio collettivo. Ci resta quindi il tempo per riposare un paio d’ore e gironzolare tra le bancarelle del King’s Day prima di prendere l’aereo.
Federico Spadavecchia