Berlin Club Transmediale ’15

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Cosa accade al nostro corpo quando viene investito dalle onde sonore?
La Club Transmediale di Berlino si interroga su queste reazioni fisiche, costruendo una lineup di artisti capaci di spingere le frequenze al limite della percezione umana.
Il motto del 2015 è Un Tune, che potremmo tradurre come non sintonizzata/stonata, giocando sul richiamo agli effetti dissonanti che si possono ottenere con i sintetizzatori e sulla voglia di staccarsi dall’ordinario per sperimentare nuove soluzioni.

La prima grande novità, ironia della sorte, è però un ritorno al passato: la durata del festival viene spiegata su dieci giorni come ormai da qualche anno non si era più abituati.
Proprio la gestione di un tempo così lungo ha creato non pochi problemi all’organizzazione, che ha dovuto cercare il modo di equilibrare weekend e infrasettimanali.

A dire il vero il risultato è stato abbastanza discutibile, perchè alla fine dei conti ad essere penalizzati sono stati i concerti più interessanti vale a dire Jk Flesh, The Bug, con il progetto speciale Sirens, al Berghain proposti il martedì, Lawrence English e Alec Empire, ad esibirsi col seminale Low on Ice, il mercoledì.
Da sempre la CTM ha puntato sulla grande affluenza estera, e quindi dovrebbe sapere bene che gli show principali andrebbero concentrati a ridosso del weekend per facilitare pubblico e addetti ai lavori trasfertisti.

A proposito di questi ultimi va rilevato come sia cambiata la percezione della CTM nel Bel Paese.
Fino a pochi anni fa l’ultima settimana di gennaio la Capitale tedesca era la sede del c.d. governo in esilio italiano, rappresentato dagli attori più importanti della scena, mentre adesso si incontrano solo i più affezionati.

In generale l’affluenza di pubblico è stata buona ma non eccezionale. Il sold out è stato raggiunto solo nelle location più piccole come la Hau 1 e per il main event alla Haus der Kulturen der Welt, dove però si riuniscono anche gli avventori della Transmediale maggiore. Anche il costo dei biglietti tutt’altro che a buon mercato, in netto contrasto con la filosofia di vita low cost cittadina, ha dato un notevole contributo.

Il nostro viaggio incomincia il giovedì e il sospetto di un’annata in sordina lo avvertiamo già durante la classica spedizione ad Hardwax da cui per la prima volta usciamo a mani vuote.

Tra le cose che ci sono piaciute di più c’è la mostra al Kunstraum di Kreuzberg, focalizzata sul potere di alterazione di stati fisici e mentali attraverso fenomeni psicoacustici.

Il primo appuntamento dal vivo in agenda è alla Hau 2 dove assistiamo alle performance del norvegese TCF e del italo-olandese Tez. Il primo destruttura inni rave in codici matematici, diluendoli in soluzioni acquose in cui le particelle di MD non si legano, per restare a metà strada tra l’abbandono e l’osservazione lucida. Idee valide e suoni intriganti, ma allo spettacolo manca una dinamica d’insieme a conferirgli la giusta fluidità. Tez da parte sua cerca di scatenare un attacco epilettico di massa con impulsi audio-video in rapida sequenza. Ok ma già visto.

La notte la trascorriamo annoiati sui divani del Berghain.
Nè i polacchi We will Fail, chiamati per cementare l’alleanza con Unsound, nè gli Amnesia Scanner riescono a suscitare un minimo di entusiasmo, dimostrando di avere una gran confusione in testa. Tanti spunti accennati ma senza profondità.
Molto meglio i Gazelle Twin, la cui estetica a base di maschere di nylon ben si sposa col club.
I vocal caldi ma allo stesso tempo paranoici sono stranianti e avvolgenti.

Al Panoramabar sta iniziando Errorsmith, per nostra sfortuna in veste di Dj.
Evian Christ come da copione la butta su luci e laser, peccato che il set risulti pesantemente penalizzato da un’intro troppo lunga.

Quanto al pezzo forte della festa ovvero Pinch & Adrian Sherwood si tratta di un live dubtech molto classico, che non ha punti di contatto con il resto della scaletta; non si capisce perchè non li abbiano messi in sala grande dove avrebbero potuto sfruttare un impianto più potente e spazi più larghi.

Il venerdì è il giorno del doppio concerto all’auditorium della HKW.

Frank Bretschneider, uno dei grandi veterani dell’elettronica tedesca, lavora su sintetizzatori modulari analogici Serge e Buchla mentre Pierce Warnecke costruisce visuals servendosi di una lanternina magica.
Sinn + Form si conferma uno spettacolo di alto livello tecnico ma dopo la prima mezz’ora cede alla monotonia della formula.

Brutta disavventura per Double Vision di Atom Tm e Robin Fox. Nel programmare lo show all’interno della prestigiosa struttura, lo staff non si è accorto che era impossibile installare i laser sulla parete posteriore.
La situazione è perciò stata tapullata montando le luci sopra lo schermo principale mandando all’aria il concept del progetto, cioè il dualismo tra le forme proiettate e le immagini trasmesse.

Sotto una leggera nevicata arriviamo alla ex centrale energetica di F’chain in orario per Aleski Perala alias Astrobotnia, una colonna della Rephlex records di Aphex Twin ben rappresentata nel sound acid e IDM del set.
L’ungherese Gabor Lazar condivide con il nostro Lorenzo Senni la passione per la stilizzazione di hardcore e trance ridisegnate col laser. Mark Fell guarda su di loro.
Per Egyptrixx vale lo stesso discorso di Evian Christ, con l’aggravante che qui l’intro dura quaranta minuti su un’ora complessiva.

Sul gradino più alto del podio mettiamo Prostitutes e Powell.
Entrambi presentano un’esibizione asciutta senza inutili fronzoli, carica, ruvida, esaltante. Post punk crocifisso con un martello techno, come a dire: “Guardate qui cos’era il futuro!
Una lode particolare la merita Powell che, a pochi mesi di distanza dal debutto dal vivo, ha tirato le fila della performance, riuscendo a bilanciare lo stile delle produzioni con l’impatto del palco.

Del sabato dedichiamo alla CTM solo il tempo di assistere allo show A/V di Electric Indigo accompagnata da Thomas Wagensommerer. Era la prima e si vedeva, speriamo si dedichino a perfezionarlo concentrandosi soprattutto sulle parti melodiche.

Per arrivare all’alba ci addentriamo nell’oscurità dell’Urban Spree.
L’occasione di provare un’alternativa al solito Berghain ci viene offerta da Daniele Antezza (dei Dadub) e la crew Undogmatisch.

Una lineup priva di punti deboli (in prevalenza made in Italy), prezzi popolari e un pubblico caldo che rimanda ai momenti migliori della club culture berlinese composto da nerds, cybergoths, techno heads, ragazze e ragazzi che si vogliono divertire ascoltando buona musica, sono la base per un party perfetto.

Il warm up di Lower Order Etichs setta il mood con una selezione industrial dance e lascia i controlli a Gondwana from Opal Tapes, il quale, pur muovendosi nel medesimo buio, pone l’accento su una ritmica più vicina alla scuola Autechre.
Il successivo live di Mogano (Arboretum records) è una vera sorpresa: un flusso di coscienza digitale che porta via neuroni come un fiume in piena. Un nome su cui puntare per il futuro!

Ian McDonnell e Dara Smith in arte Lakker si dividono tra il sound design minimale della Stroboscopic Artefacts e l’eredità rave R&S, tanto poi ci pensa Ascion, il lato mentale della Repitch, ad aumentare la pressione sul dancefloor.
Il finale è tutto per il back to back tra Daniele Antezza e T.C.O. in un crescendo di adrenalina e sana sfattanza prima di decidere se andare a dormire o cercare un after hour.

Domenica pomeriggio è il turno delle sperimentazioni sulle onde radio degli Emptyset che mettono in collegamento due stazioni disperse tra Francia e Germania con il teatro della Hau 1.

Concludiamo il nostro periodo di insonnia forzata con i concerti di Carter Tutti Void e Logos + Mumdance + Shapednoise all’Astra.

Tralasciando i gruppi in apertura (Phoebe Kiddo e Nisennnemondai) che non si capisce come siano finiti in cartellone, ci godiamo gli ex Throbbing Gristle e la bassista dei Factory Floor in un’inedita versione ketaminica.

Quanto a The Sprawl era il debutto assoluto (Shapednoise e Mumdance addirittura era la prima volta che si incontravano di persona) e naturalmente questo ha influito sulla piena riuscita dello spettacolo. Ma per essere sostanzialmente una jam session tipo free jazz c’è di che essere soddisfatti.
Logos e compagni ricercano un sound originale, fusione di diverse influenze, abrasivo, spaziale e profondo, toccando il meno possibile lidi conosciuti.
Troppo presto per dare un giudizio definitivo ma le premesse perchè venga fuori qualcosa di entusiasmante ci sono tutte.

La CTM 2015 si chiude tra alti e bassi con molti spunti su cui riflettere, troppi infatti sono stati i passi falsi sia artistici (lineup scricchiolanti) che organizzativi (costi, timeschedules che han lasciato il sabato desolante) rispetto alle ultime due edizioni, e una manifestazione d’eccellenza come questa non se li può permettere.

Federico Spadavecchia

 

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