Chissà cosa avrebbero potuto combinare assieme James G. Ballard, Jules Verne e James Marcel Stinson, di quali avventure avrebbero reso protagonista la stirpe dei Drexciya (i figli delle schiave africane gettati in mare durante il viaggio verso il Nuovo Continente, ma riusciti a sviluppare una propria civiltà in fondo agli oceani) tra mondi sommersi e isole misteriose, sempre in lotta contro l’ingiustizia, ultimi difensori della Resistenza.
Di questo eroe visionario non si sa molto se non che ha vissuto per undici anni in un anonimato sincero, non markettaro, che hanno portato a due album su Tresor e uno su Clone oltre a una serie di singoli (UR, Warp, Rephlex, Subemerge, S.I.D, Shockwave Records).
Un’eredità pesante che ha influenzato l’intera comunità elettronica a ogni livello.
L’estetica e la sostanza dell’electro vengono ridefinite: Stinson, coadiuvato da Gerald Donald, dona un’anima ai Kraftwerk turbandone la neutrale perfezione asettica, gli fa sporcare le mani affidando alle note un messaggio politico forte.
Fantascienza militante per sopravvivere al capitalismo cannibale.
Ma la cosa che sembra incredibile è che nonostante Drexciya, durante e post, i due underground soldiers coltivassero con successo diversi progetti paralleli (specialmente Donald aka Arpanet, Dataphysix, Glass Domain, Heinrich Mueller, Intellitronic, Japanese Telecom, Rudolf Klorzeiger, Z Therapy, Dopplereffekt, Der Zyklus giusto per citare quelli più famosi).
Transllusion nasce nel 2001 da una collaborazione tra Stinson e la Supremat, sublabel della Tresor attiva in quegli anni e chiusa dopo appena pochi numeri.
Secondo i piani originali The Opening Of The Cerebral Gate sarebbe dovuta appartenere a una serie di sette album, denominata Drexciyan Storms, tenuta a battesimo da Harnessed The Storm che però uscì successivamente (2002) col moniker principale.
Il disco viene riproposto oggi dall’etichetta tedesca (per la prima volta su triplo vinile) dopo le ottime vendite dei quattro volumi Journey of the Deep Sea Dweller compilati da Clone.
James ha ormai raggiunto l’apice delle sue capacità. Il mood inizia a farsi più scuro ma il funk non è ancora avvelenato del tutto.
L’attenzione è passata dalla battaglia contro un invasore esterno a un’indagine sensoriale interiore.
Gli impulsi neurali trasmettono le informazioni captate ai centri di controllo dove verranno decodificate per disegnare la realtà che ci circonda.
Consapevolezza nei propri mezzi e desiderio di volgere lo sguardo verso quel futuro che la malattia consente ancora di distinguere nitidamente.
Il principe della black Atlantide lavora nel suo laboratorio: scioglie beats in soluzioni acide, ne saggia la densità, li fa passare attraverso alambicchi di forme differenti, ricava una fiala di siero e la sperimenta su sè stesso: lo stadio di essere umano è superato.
Siamo davanti a un monumento sonoro dei nostri tempi, un omaggio alla necessità di sognare una vita diversa, di riposizionare confini e orizzonti, di essere puri.
Per dirla con le parole di Grava 4: Don’t be afraid of evolution.
Federico Spadavecchia