Nicholas Jaar “Space is only noise” (Circus Company)

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Cileno, dotato di molto talento ed appassionato di musica elettronica, è uno dei nomi con più hype del momento e no non si tratta nè di Ricardo Villalobos e nè di Luciano.
Nicholas Jaar è balzato agli onori della cronaca quando, quattro anni fa, ha iniziato a collaborare con la label della Grande Mela Wolf+Lamb, collettivo dominante nel panorama post disco.
Nicholas, appena ventenne, è l’enfant prodige che ha fatto impazzire la critica di mezzo mondo con svariati singoli e remix ed oggi, contemporaneamente al conseguimento della laurea, presenta la sua prova di maturità artistica, l’album “Space is only noise“.
All’atto pratico si tratta esattamente di questo: un saggio col quale impressionare i professori e dimostrare a tutti quanti le proprie capacità in studio, che sono in effetti molto ben sviluppate.
Tuttavia è proprio l’eccessiva tecnica il limite più evidente dell’opera di Nicholas. Tutto scienza e poca filosofia.
Il filo conduttore di “Space is only noise” dovrebbe essere il sentimento della malinconia attraverso lo straordinario calore del suono, peccato però che l’emzione rimanga abbagliata dall’iper produzione troppo perfetta e lucida per lasciare all’ascoltatore un qualcosa che vada oltre l’ammirazione per l’abilità sfoggiata, per non parlare del fatto che solo un audiofilo avrebbe l’attrezzatura necessaria per poter godere appieno di tutte le sue sfumature.
Altro boccone indigesto è l’aver scelto di tenere i ritmi sotto i canonici 120 bpm dell’house music che, se da un lato è interpretabile come una sfida alle regole della dance, in quanto consapevole di vivere nel post house per la gioia di tutti quei giornalisti che a ballare non vanno mai, dall’altro risulta non solo troppo mollo per essere gustato in pista, al contrario dell’usuale catalogo Circus Company (va bene il jazz e l’essere raffinati ma fino a un certo punto), ma anche pericolosamente tendente al periodo più noioso della f com con canzoni da 3 minuti intrise di soffisticata spocchia.
Sembra infatti di essere tornati a quando il Dj per giustificare il proprio status di artista doveva comporre soporiferi album da poltrona, e quindi via con cantati strazianti, atmosfere smooth ed infiniti esercizi di stile zigzagando tra diversi generi dimenticandosi la preziosa lezione appresa alla consolle vale a dire che si può fare musica intelligente senza rinunciare per questo all’intrattenimento.

Federico Spadavecchia

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