Tra edonismo e politica: Mamba Negra – The sound and fury of Sâo Paolo

Teo Mannu di Basstation esordisce come autore di un fortissimo documentario su uno dei collettivi più impegnati del Brasile

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La metafora della musica come viaggio è una delle più abusate nel descrivere le sonorità elettroniche. Talvolta, però, non basta volare con la fantasia, occorre fisicamente caricarsi uno zaino in spalla e partire verso luoghi ancora semisconosciuti per arricchirsi di esperienze allargando i propri orizzonti.
Teo Mannu ha conquistato la sua fama organizzando con tenacia e dedizione party per anni nella sua Sardegna, eppure ha sentito l’esigenza di spingersi oltre, saltando su un’altra spiaggia al di là dell’oceano, per osservare con i suoi occhi una realtà differente che chiedeva a gran voce di essere raccontata.

Ciao Teo, ti conosciamo da tempo nella tua veste di promoter, a proposito cogliamo l’occasione per fare tanti auguri a Basstation che quest’anno compie ben 15 anni. Qui però scopriamo un’altra tua qualità e carriera, da quanto tempo fai il documentarista? Da dove nasce questa tua passione?

Ringrazio subito voi per l’interesse e gli auguri!
Sono contento che Frequencies sia sempre attento a ciò che facciamo, il rispetto è reciproco ormai da tanto. Non so quanto possa dichiararmi documentarista. Posso dire d’essere incline alla ricerca, mi piace raccontare ciò che vivo (e sento) attraverso differenti mezzi. Aver fatto questo doc short film è una casualità data dal mio carattere e da circostanze non previste.
Sono un viaggiatore seriale da un bel po’ di anni, nel 2018 in Brasile ho condiviso un’esperienza con un vecchio amico fotografo e regista, Alessio Ortu, con cui abbiamo pensato di raccontare delle realtà che oltre ad essere il contenuto del mio itinerario, erano anche un punto in comune tra noi. In città mi muovo sempre ispirato dalla musica, gli ambienti alternativi, la realtà controversa della strada, personaggi borderline.
Insomma, la vita è un susseguirsi di avvenimenti che mi piace far scorrere e il risultato in questo caso è stato questo. Senza alcun programma.

Per il tuo primo documentario, Mamba Negra – The sound and fury of Sâo Paolo, sei andato fino, appunto, in Brasile. Come mai questa scelta così impegnativa? Hai sempre spinto con molta energia la tua Sardegna, perché allora non iniziare il racconto partendo da casa?

Mi ha sempre affascinato poter raccontare ciò che vedo in giro, realtà lontane dal posto in cui vivo. Diciamo che in questo caso mi sono impegnato con uno forzo immane. Come dici tu, sappiamo bene cosa significa produrre un documentario indipendente. Ho conosciuto il Mamba Negra casualmente, all’interno di un festival, il primo anno che sono stato a Sao Paulo. Mi ha colpito il loro modo di vivere la musica, i party, la radicalità, l’attitudine politica. Tutto questo in un contesto molto underground. Spazi abbandonati, pubblico eccentrico e un messaggio di libertà che è arrivato in fondo. Ho creduto fosse interessante scoprili meglio per poi per raccontarli. Nel tempo poi sono diventati abbastanza famosi all’interno della scena del clubbing. Alla fine quest’energia può migliorare le cose ovunque, anche qui in Sardegna, ma in questo caso devo essere sincero, nulla a che fare con il posto in cui mi son sempre impegnato.

Eri già stato a San Paolo? Che tipo di città è?

Come ho già detto è nato tutto un anno prima per pura casualità. E’ una città folle, una giungla urbana. Edifici altissimi incastrati tra loro, dove a volte è difficile coglierne un senso, alternati da favelas e quartieri residenziali. Rispetto ai miei percorsi posso dire d’aver conosciuto una città piena di contraddizioni, con un alto dislivello sociale, la cui urbanizzazione è lo specchio di tutto questo. Ho trovato molto fermento culturale, soprattutto nell’ambito artistico, come in tutti quei luoghi in cui l’arte è esigenza. Le testimonianze raccolte la descrivono spesso come una metropoli gigante, iper popolata, caotica, spesso soffocante ed oppressiva, quindi per alcuni, certi ambienti come quelli artistici non sono altro che ossigeno.

Com’è la scena elettronica da quelle parti?

Molto viva. Ci sono i club, quelli con una concezione più all’italiana, e poi tante realtà indipendenti. Negli ultimi trovi spazi sicuri per ogni tipologia di persona, per ogni gusto musicale. Situazioni radicali e sincere, forsei più naturali rispetto all’Europa. C’è libertà sessuale tanto quanto la famosa Berlino, ma con meno forzature. E poi produttori, dj che spaziano tra generi come techno, electro, house con tutte le sfaccettature che comunque già conosciamo.

In un mondo sempre più standardizzato quali affinità e differenze hai trovato tra l’Europa e il Sud America in materia di clubbing e fruizione della musica?

Non mi sento di fare un paragone in generale, il Sud America è grande, vario e complesso. Posso dirti che Sao Paulo tra tutte le capitali del continente per me è la più singolare. Personalmente ho evitato i club classici, alla ricerca di eventi che alla fine sembrano più dei veri propri rave per carattere e luoghi. Libertà, impegno e naturalezza, sono le tre parole con cui posso descrivere meglio la differenza. C’è da considerare che parliamo un posto più oppresso rispetto all’Europa, con problemi ben più grandi in tanti sensi. L’energia in certi luoghi è molto diversa, è la naturale reazione alle difficili condizioni del paese.

Qual è stato l’input che ti ha fatto scattare la voglia di raccontare questa storia?

Sono un esempio del mio ideale di clubbing al momento. Io invece ho sempre bisogno di raccontare.

Parliamo del Black Mamba, che cos’è e come mai è così importante?

E’ un collettivo per la maggioranza composto da rappresentanti del mondo LGBT, che da circa sette anni ha base a Sao Paulo. In parte è composto da attivisti. Producono eventi di musica elettronica a cui associano contenuti perforativi abbastanza fuori dagli schemi. Eventi che a volte sono vere e proprie proteste, come quelli realizzate in strada in contrapposizione al governo. Tanto quanto le loro produzioni rilasciate nella propria etichetta. I testi inclusi nel live di Teto Preto, progetto all’interno del Mamba, parlano spesso di dissenso, testimoniano atti violenti. Sono una risposta alla società, è un modo per farsi sentire, soprattutto vivi. Laura Diaz e Cashu aka Carol Schutzer sono due donne promoter, che ammiro molto per la loro forza e i valori espressi attraverso la musica.

Attualmente in Brasile con Bolsonaro al comando, i difensori dei diritti civili e la comunità LGBT sono sotto attacco costante, come reagisce il club e quali politiche di contrasto ha messo in atto?

Eventi come il Mamba Negra sono una chiara risposta al fenomeno di cui parli, ma precedente a Bolsonaro. Parliamo di una nazione che era sotto dittatura fino agli anni ’80. Il “Bolso” è un personaggio contemporaneo, osteggiato da tutto il mondo underground. Il sound system in strada diventa simbolo di lotta per i diritti di tutti, partecipare spesso è sentirsi parte di un atto di dissidenza alle sue politiche elitarie e di emarginazione. In ambito LGBT le azioni sono diverse, i transgender per esempio entrano gratuitamente, sono posti in una condizione di favore e l’accesso è dichiaratamente negato a chi ha sentimenti fascisti come in tanti club europei.

Chi sono i Dj resident e qual è la loro proposta?

I dj resident, come il collettivo, è abbastanza folto di nomi. Cashu è più incline alla techno, dark, acid e ipnotica. Teto Preto è una live band di musica elettronica con un’alta componente performativa che incorpora sonorità jazz, house, techno ed electro con parti vocal di Laura Diaz, che oltre ad essere promoter e parte del gruppo, suona anche sotto il nome di Carneosso. Sta sempre sullo stessa linea del gruppo. E poi Amanda Mussi, Valentina Luz e tanti altri.

Dal trailer del documentario abbiamo potuto conoscere alcuni dei suoi avventori, cosa ci puoi raccontare del pubblico del Mamba?

Raver eccentrici e coscienti della motivazione per cui ci si incontra.

A un clubber italiano che volesse provare l’esperienza brasiliana cosa consiglieresti?

Certamente il Mamba Negra, dove puoi trovare oltre ai propri validi artisti resident ospiti come Volvox, Voiski e Dr Rubenstein.
Poi una serie di realtà, tutte indipendenti come Coletividade Namíbia, Sangra Muta e ODD tutte vicine al concetto del MB. Oppure il party Voodoohop per gli amanti della slow house.

Guardando dal punto di vista del promoter cosa ti sentiresti di consigliare ai ragazzi di San Paolo e quali spunti hai colto che sarebbero utili da replicare dalle nostre parti?

Da promoter (ma anche da amante del dancefloor) sinceramente non riesco a fare un appunto. Lo spunto che ho colto è che dobbiamo fare sempre di più perché i nostri eventi non siano solo puro intrattenimento. Senza alcuna forzatura, ove ci siano le condizioni, una cosa non svaluta l’altra, ma io sono più ispirato dalla prima.
Promuovere cultura, valori ed una società più rispettosa in tanti sensi, insomma, renderci utili per il mondo la fuori. La musica e gli eventi sono caduti negli ultimi anni in un vortice d’affari e ricerca di audience che hanno snaturato anche ambienti storici, un tempo riferimenti.

Quali sono stati i momenti di maggiore difficoltà nello sviluppo del progetto?

Sicuramente come in tutti i progetti indipendenti far quadrare i conti e trovare risorse umane che potessero scendere a compromessi.
Mi reputo comunque fortunato. Ho trovato un compagno d’avventura, Alessio, che mi ha insegnato tanto, co-autore, regista ed editor. Professionisti come Breno Turnes (direttore fotografia), Beto Freitas (tecnico audio), Nicola Cavalazzi (post-produzione), Daniele Ortu (supporter) e Victoire Velarde (Festival). Senza il loro supporto sarebbe stato certamente tutto più difficile. Per questo li cito uno ad uno.

Che reazioni vorresti ricevere dalla sua visione?

Mi piacerebbe far riflettere e magari influenzare il modo di vivere la musica e gli eventi per chi è dentro la scena. Per chi invece non mastica clubbing, far comprendere il valore di ciò che spesso la scena rappresenta, troppo spesso incompreso. Il clubbing è spesso trattato male, ma certi valori possono essere d’esempio alla società intera.

Che progetti avete per il documentario? Avete predisposto un programma delle proiezioni?

Al momento è iscritto ad una serie di festival, anche se non è l’anno migliore tra cancellazioni e posticipazioni. Per il resto coglieremo ogni possibilità di pubblicazioni e di proiezione una volta finito questo ciclo, perché alla fine l’interesse principale è diffondere un messaggio.

Ti ritieni soddisfatto di questo esordio? Hai già un’idea della prossima meta da approfondire?

Come prima esperienza nelle vesti di autore e produttore non ho particolari aspettative, il fatto di aver chiuso un progetto documentaristico realizzato da zero, con poche risorse di partenza e prodotto nell’altra parte del mondo, è già una grande gratificazione. A detta di tanti addetti ai lavori non è mai facile portare a termine una produzione così. Mi reputo totalmente soddisfatto, professionalmente ed umanamente arricchito dall’esperienza vissuta. Pur avendo già girato un altro valido contenuto, al momento le risorse finanziarie non permettono di andare avanti con la post produzione. In generale trovo sia stimolante per me non vederlo come un lavoro. Ragion per cui le successive produzioni saranno l’unico frutto di ispirazione e la sostenibilità economica. Ancora grazie e lunga vita a voi che siete sempre stati d’aiuto alla scena!

Federico Spadavecchia