We have arrived: Marc Acardipane, i mille volti dell’Hardcore

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La fine del 1992 segna in tutto il mondo la fine della luna di miele con l’Ecstasy. I ritmi solari e psichedelici, ma sempre colorati, dell’house, dell’acid house, e delle hit più commerciali del circuito rave inglese, vengono risucchiati in un buco nero dominato dal nichilismo.
Il 1993 è la definitiva svolta dark del genere e mentre in Regno Unito si assiste all’ascesa di breakbeat sempre più veloci e affilati, l’Europa continentale consacra un altare alla distorsione della cassa in quattro e riprende a soffiare sull’eredità post industrial degli anni ’80.
Secondo Andrea Benedetti negli anni ’90 c’è stata una spinta al cambiamento dettata soprattutto dall’insoddisfazione del presente che si viveva: “C’era la visione di un futuro possibile, ma che sembrava frenato o limitato da scelte politiche e sociali. Forse in alcuni ragazzi c’era più consapevolezza ed in altri meno, ma se questo è avvenuto in tutto il mondo e senza social media, vuol dire che c’era effettivamente questa necessità di rivoluzione. Magari si trattava di un atteggiamento inconscio, ma era difatti pur sempre politico in tutti i casi. Credo che a Detroit la consapevolezza fosse maggiore per via di una situazione sociale più degradata ed al limite. La musica era l’unica via di fuga e il boom indotto tramite cui creare un futuro migliore“.
In quel periodo l’Italia era ancora divisa tra città ancora prese a confrontarsi col loro passato recente come Genova e Torino, che iniziavano a fare i conti con una realtà industriale in dismissione, da una parte e altre risorte a nuova vita come Bologna, risvegliatasi capitale contro-culturale e meta di migliaia di giovani, o Riccione, passata dall’edonismo provinciale fatto di dancing e vitelloni a madre patria dei primissimi superclub e ballerini dal look cyber.
Per un breve periodo quell’oggetto, all’epoca misterioso, definito semplicemente “hardcore” fu colonna sonora tanto dei rave underground quanto dei club di tendenza.
La “pompa inaudita” che lo animava unita alla farcitura di riff e hook killer, permise a un suono nato per essere scomodo e inquietante di penetrare perfino sulle frequenze radio nazionali, all’interno di programmi di successo come il DeeJay Time di Albertino.

Quando io sono arrivato al Cocoricò nel 1990 (aveva aperto nel 1989) il locale non aveva ancora una sua precisa definizione e quindi non aveva ancora un suo pubblico definito. La conformazione della struttura a mio avviso si abbinava perfettamente alla techno di allora, di lì a poco arrivò l’hardcore, che io stavo iniziando a seguire in quanto fenomeno emergente, e l’impatto sul locale fu devastante. Non è stata quindi una proposta adattata nella maniera specifica per un pubblico, in questo senso siamo cresciuti tutti insieme in quel periodo attirati dalla stessa energia – racconta Cirillo, Dj simbolo della Piramide – Era un periodo dove avevamo molta libertà di azione e dove c’era modo di sperimentare senza condizionamenti. Sicuramente per me è stato fondamentale misurarmi a quell’epoca con grandi dj e produttori per poi proseguire nella mia carriera. Parlo di Marc ma anche di Lenny Dee, di Sven Vath come Carl Cox, Paul Van Dyk e via di seguito. Credo che come eredità quel periodo ci lascia molto, visto che anche oggi molti artisti ne fanno fonte di ispirazione. Poi, anche la nascita di grandi club e l’organizzazione di rave ha poi condizionato anche tutto quello che è venuto dopo“.
Dovessimo fare un nome simbolo della scena la nostra scelta non potrebbe che ricadere su Marc Trauner, l’uomo dai mille alias, fondatore della PCP Records di Francoforte.
Francoforte era un centro di attrazione incredibile per la musica di quegli anni. Un club come l’Omen ha rappresentato molto per quella scena. Credo che l’hardcore lì non abbia rappresentato qualcosa di militante e sostanzialmente chiuso. Nel senso che il genere era aperto ai vari livelli di contaminazione che potevano derivare dall’elettronica tedesca ed in questo senso sviluppava la capacità di evolversi” dice Cirillo.
Con in mente una chiara visione di un futuro dispotico e senza speranza per il mondo, Marc scinde il suo Io in tanti moniker quante sono le molteplici sfumature ‘core. Marc Acardipane è uno di questi e probabilmente il più conosciuto.

Marc era completamente trasversale, anche grazie all’ecletticità di quello che produceva con tutti i suoi pseudonimi lo si poteva ascoltare nelle nostre feste all’epoca fuori da logiche commerciali, in Riviera al Cocoricò, ma anche al Matis di Bologna o all’Asylum di Jesolo. Posti diversi con pubblici differenti, che allora comunicavano attraverso i suoi sound. Il collante però non erano le produzioni HC ma l’acid hard trance di sublabel come Cold Rush, Acidferrous, o la Dance Ecstasy 2001 dove come Nasty Django tirò fuori la superhit “9 Is A Classic” con l’alias di “Ace The Space”, mai trasmessa in radio, neanche su Italia Network se non in mezzo a mixati dei vari e pochi dj techno italiani di allora”. Ricorda Boris del Link.
Marc è un personaggio poliedrico, sia come si esprime artisticamente in studio sia nella sua parte performante, per cui è difficilmente definibile in un solo termine. Se vogliamo trovarne uno credo che vulcanico sia il più adatto. Sicuramente uno che emana energia solo a vederlo e ti coinvolge subito con la sua musica – va avanti CirilloI suoi lavori sono stati parte fondante del sound che ha portato al successo il Cocoricò e di conseguenza è stato naturale farne una presenza periodica nel locale“.
Incredibile a dirsi ma il primo contatto tra Marc e l’Italia avvenne a Genova, un luogo che fino ad allora non era stato toccato dalla forza della techno. “I primi dischi PCP vennero in Italia grazie alle storiche distribuzioni del nord tipo Disco Magic o Self – spiega Andrea BenedettiPoi Fabrizio Usberti, un dj di Genova noto come Dj Kalapodis, iniziò ad importarle regolarmente con la sua società di distribuzione che si chiamava Sinapsi. Aveva difatti un’esclusiva perché quel suono era poco compreso dalle distribuzioni storiche italiane che erano molto più concentrate su produzioni più commerciali. Lui suonava soprattutto hardcore per cui dal 1993 in poi, quando la PCP si concentrò molto su quel sound aveva una sorta di monopolio. Credo che senza Fabrizio Usberti, l’impatto della PCP in Italia non sarebbe stato lo stesso perché lui credeva fermamente in quel suono. Purtroppo è morto troppo giovane in un incidente per proseguire il suo grande lavoro. Era una persona speciale e con lui ho fatto svariate serate al Link o ad esempio a Mutonia, la comune dei Mutoid, e ho tanti bei ricordi con lui che non me lo fanno dimenticare. Avrebbe meritato molto di più per quello che ha fatto”.

L’importanza di Fabrizio Usberti viene confermata anche da un altro genovese, nome storico del mitico Link di Bologna, Mauro Borella detto Boris, fuggito dalla città della Lanterna nei primi ‘90: “La grande differenza con Bologna era che a Genova a proporre quelle produzioni ed a diffonderle in momenti pubblici c’era solo Fabrizio Usberti a cui la scena locale rispondeva proprio male. In due feste organizzate a cui collaborai una in una ex Cartiera nell’entroterra, ed un’altra nel centro storico ci costarono la prima di essere pestati dalla security che aveva chiamato la proprietaria della location, nella seconda una multa SIAE di qualche milione di vecchie lire. Poi ci riprovammo anni dopo un capodanno sempre nei vicoli e fummo coinvolti nel furto con scasso di un negozio di vestiti vicino al locale dove stavamo suonando, con mega rissa annessa e all’ennesima ginocchiata nello stomaco mi ripromisi di non fare mai più nulla nella mia città. 
Fabrizio aveva dei rapporti con PCP innanzitutto basati su una totale affinità stilistica e se vogliamo anche etica che si ritrovavano anche nell’ organizzazione degli scambi commerciali dalla Germania all’Italia e viceversa. Sinapsi era il loro contatto per l’Italia, in cui loro importavano ma da cui anche acquistavano, essendo allora anche dei distributori. Fabrizio, Marc e il socio Thorsten (il ragioniere della crew) avevano stabilito un patto di fiducia fondato sul baratto, per il quale loro mandavano giù titoli e quantità di loro produzioni pari a quelli che Fabrizio li rimandava su di produzioni italiane. Grazie a questa forma di “scambio alla pari ”senza flusso di denaro venivano esportati nel mercato tedesco etichette italiane come la Minus Habens di Ivan Iusco e le produzioni di varie label della galassia techno romana facenti capo alla Final Frontier distribution condotta da Andrea Benedetti e Marco Passarani (conosciuti grazie a lui) in collaborazione con il negozio Remix”.

E’ lo stesso Benedetti ad analizzare quante anime coesistessero contemporaneamente dentro l’artista tedesco: ”Il primo contatto con Marc è stato con “We have arrived” e “Nightflight” sul primo 12” della Industrial Strenght di Lenny Dee. Conoscevo Lenny Dee per via delle sue produzioni freestyle con Frankie Bones di fine anni ’90 (“Looney Tunes vol. 1” su Nu Groove è stato un disco che ho amato molto) e pensavo fosse qualcosa da sentire, ma quel 12” era qualcosa di diverso: era la techno di UR e Plus 8 al cubo. Potenza sonica allo stato puro. Da quel momento iniziai a cercare tutte le produzioni a nome The Mover e Mescalinum United. Poco dopo uscì “Frontal Sickness vol. 1” è il cerchio si chiuse facendo diventare le produzioni di The Mover come un must da ascoltare, comprare e supportare sempre. E non mi ha mai deluso in questo senso. Anche perché venni a contatto con altre produzioni più sperimentali della PCP come Cyborg Unknown, Alien Christ o “Into Mekong Center” sempre come Mescalinum United che erano molto interessanti, se non geniali (vedi la re-interpretazione di “The Art of Stalking” di Suburban Knight da parte di Alien Christ che poi era sempre Marc). Comunque alla PCP erano molto trasversali. Il PCP 002 era hip hop, il 005 deep house e poi c’era anche tanta breakbeat (il disco di Marc come Spiritual Combat su R&S è un capolavoro). Poi c’erano anche tutte le loro produzioni hardcore che a me piacevano meno, ma che comunque mi sembravano sempre molto diverse da quelle olandesi ad esempio e che comunque iniziarono da verso la fine del 1992”.
Mettendo per un momento da parte i lavori a nome The Mover, più legati alla techno propriamente intesa da UR e dal giro romano, le produzioni hardcore nonostante gli ottimi riscontri di pista e vendite vengono bollate dalla critica come dozzinali e, specie nel Bel Paese, accusate senza mezzi termini di essere di destra. Simon Reynolds definì, a torto non cogliendone la profonda ironia, le tracce di Acardipanequalcosa tra il dionisiaco e il francamente fascista, capace di evocare una folla inferocita come un esercito“.

A Bologna anche nei CSOA la scena era spaccata in due, il Livello 57 dove due dj resident Santo e Birdy proponevano la prima IDM in una chill out quasi esoterica, mentre nel basement del Link, Boris e i suoi amici, tra macerie e fogne pronte a saltare, non scendevano mai sotto i 130 bpm. “Ripensandoci la cosa divertente era che loro politicamente erano i creativi mescolati con i duri e puri dell’autonomia operaia , mentre noi eravamo i fighetti (quindi molli) del collettivo studentesco che giocavano a fare il centro culturale europeo. Poi al Livello e negli altri CSOA arrivò la tekno con la k dei teknival (sempre con la K) e non ci furono più discussioni, non ve ne era più bisogno“. Se la ride oggi Borella che prosegue: “nonostante il fatto che il primo pezzo suonato all’apertura del Link il 10 aprile 1994 fu Smash-Correct e l’ultimo alla sua chiusura il 21 Maggio 2004 fu l’Ace the Space, Marc non suonò mai al Link per rispetto di campo, anzi di pista, visti i suoi rapporti con Cirillo ed i fee che gli davano al Cocoricò. Ma anche perché la scena si era già bella che schierata e l’hardcore anzi il gabba rappresentava una specie di antimondo sonoro e politico. Una spaccatura durata fino all’arrivo delle seconde tribe (le prime come gli Spiral mettevano ancora qualcosa di ascoltabile), noi, come Link rimanemmo al di qua del fiume aspettando l’arrivo del cadavere, distanti dalla gabba e purtroppo anche da Marc che a quel punto ne era diventato addirittura il fondatore ufficiale con una produzione a nome di Mescalinum United che riprendo sotto invertendone le polarità e il significato, almeno per noi. Solo pochi “eletti” han capito l’eterodossia impura di Marc e il perché un apocrifo di successo mondiale come Richard D.James lo abbia inserito nella sua raccolta “Aphex Twin Classic” con ben due versioni di “We are arrived” remixate da lui; la n.11; “We have arrived (Aphex Twin QQT Mix)” e la 12 12; “We have arrived (Aphex Twin TTQ Mix)”“.
Oggi dopo 25 anni di attesa Marc Acardipane falcherà finalmente le porte del Link sabato 14 ottobre nel format di Cirillo dedicato ai B–side, i lati B delle hit, fatti per sorprendere e non compiacere, perché hardcore è prima di tutto un’attitudine, e come ribadisce il patron del Memorabilia: “Marc è sostanzialmente uno sperimentatore. Non ha mai cercato di costruire altro intorno alla sua musica. Nello stesso tempo la sua capacità di spaziare tra diversi progetti ha dell’incredibile“.

Federico Spadavecchia

Si ringrazia per il contributo fondamentale: Mauro Boris Borella, Andrea Bendetti, Cirillo

Dedicato a Fabrizio Usberti

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