Berlin Atonal ’14: Alla Ricerca del Suono Perfetto

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Dovessimo indicare un nome soltanto per definire la storia moderna della Club Culture berlinese, sceglieremmo Dimitri Hegemann; il visionario fondatore del Tresor, infatti, ha il merito di aver traghettato la scena cittadina dalla new wave (suonava il basso nei Leningrad Sandwich) alla techno, gettando le basi per lo sviluppo del suono che apprezziamo oggi.
Tuttavia prima del True Spirit e della santa alleanza con Detroit, dal 1982 fino al 1990 Herr Hegemann è stato il promoter di un festival di musica sperimentale (le cui star si chiamavano Einstürzende Neubauten, Psychic TV e Malaria!), l’Atonal, tornato a nuova vita lo scorso anno.
Le ragioni di questa resurrezione miracolosa sono molteplici: la voglia di creare un evento capace di distinguersi dalla routine berghainiana e dalla CTM, rilanciare il Tresor, sfruttare il mastodontico spazio della centrale elettrica dove il club ha sede, finalmente a completa disposizione, l’assist dell’hype intorno all’industrial dance, e ovviamente fare un bel po’ di soldi con i techno turisti.
La manifestazione dura da giovedì a domenica più il concerto inaugurale del mercoledì dedicato al pioniere del minimalismo Steve Reich.
Una lunga avventura, insomma, che comincia restando a bocca aperta davanti all’immensità della Heizkraftwerk, una cattedrale futurista dai soffitti altissimi e colonne imponenti.
Probabilmente la miglior location di sempre per una manifestazione del genere.

Atonal si divide in tre parti: la performance giornaliera con il 4D Sound a piano terra alle 18, i concerti al piano superiore dalle 20 fino all’una e quindi gli aftershows al Tresor e all’Ohm.
A sfidarsi nell’utilizzo del complesso impianto audio quadridimensionale, tre pesi massimi dell’ambient e glitch: Murcof, Biosphere e Senking, cui va la vittoria finale per aver meglio coordinato tecnica e trama artistica con una maggiore interazione rispetto ai due colleghi che, specie il messicano, si sono limitati ad adattare il proprio, comunque sopraffino, repertorio allo strumento senza sorprese.
Il giovedì scopriamo la bravura dei francesi DSCRD. I ragazzi della provincia parigina elaborano gelidi incastri industriali e video sulla vita quotidiana, caricandola di suspance. Per noi i migliori della serata.
Proseguendo sul fil rouge delle soundtracks tocca ai Dalhous; gli ex Young Hunting della Blackest Ever Black abbandonano definitivamente l’esoterismo in favore di un sound più aperto dal mood malinconico.
Miles Whittaker invece ci convince a metà con una buona mezz’ora prima di rifugiarsi nel già sentito di Millie & Andrea.
La collaborazione tra Yves de Mey e Peter Van Hoesen sotto le insegne di Sendai porta a risultati interessanti, andando ad esplorare i confini tra il beat da dancefloor e il sound design di ricerca.
Di Milton Bradley e il suo The End Of All Existance ricorderemo le fotografie in bianco e nero insieme alla bellezza di un suono tuttavia statico, e un concept, la fine del mondo, ultra abusato.
Con venerdì incominciamo a darci dentro fino al mattino, nonostante la falsa partenza degli show di TV Victor (triphop fuori tempo massimo), Dasha Rush in Antarctic Takt (come alla CTM non si capisce dove voglia andare a parare e perchè non si accontenti di suonare come Lada), e Abdullah Rashim (che anzichè portare on stage l’ultimo album insiste per un’ora su due noiosissimi pad riverberati).

Fortuna che ci sono Donato Dozzy & Nuel con le loro Aquaplano Sessions, che non solo risollevano le sorti dell’evento ma si conquistano il titolo di miglior performance del festival.
I nostri connazionali lavorano sugli spazi: prima li saturano stratificando le frequenze (in alcuni momenti l’effetto ricorda la pressione alle orecchie durante il decollo), quindi li svuotano rilasciando pulsazioni meditative. Un viaggio nel sistema nervoso della techno.
Onesto il set di Headless Horseman che esegue i dischi con soddisfazione del pubblico desideroso di sgranchirsi le gambe.
Assoluti protagonisti del post al Globus, la sala house del Tresor, sono Dj Pete aka Substance e Rene Lowe aka Vaniquer in arte Scion.
L’eleganza della dubtechno Basic Channel/Chain Reaction è irresistibile, si potrebbe andare avanti a ballarla tutta la notte senza alcuno sforzo.
Nella cella Adam X intanto prende posto ai comandi. ADMX-71 è un’idea con cui il Dj americano recupera diversi aspetti delle sue passate esperienze e le ribatte in downtempo, generando un pesante groove narcolettico che sembra dover esplodere da un momento all’altro.
Il duo della Avian rec. Shxcxchcxsh si esibisce in un live techno di discreta fattura ma senza impressionare, mentre gli applausi vanno a Stanislav Tolkachev e il suo live dark con venature vecchia scuola.
Con la monotonia cassadritta-centrica di Jonas Kopp decidiamo di averne abbastanza e di esserci meritati il riposo dei giusti.
Sabato il primo a entrare in scena è Neel, che dal vivo ci riporta alla componente ambientale dei Voices from the Lake. All’artista romano toccherà anche battezzare i djset notturni e lo farà con stile e potenza.
Max Loderbauer, professionale come un direttore d’orchestra, dirige una sinfonia modulare nella quale è possibile perdersi nella storia della musica elettronica.
I Bleed Turquoise sono il progetto post punk di James Ginzburg degli Emptyset: vestito a la John Foxx, canta come fosse ancora il 1982.
Inutile sottolineare come il più atteso della festa fosse lui: Richard H. Kirk, l’ultimo rimasto dei seminali Cabaret Voltaire.
Sulla carta poteva essere una fregatura cocente vista la mancanza degli altri membri e la volontà di Kirk di non eseguire i brani storici.
Niente Nag Nag Nag, Do the Mussolini, The Crackdown o Sensoria quindi, ma una cavalcata techno anni ’90 come ai bei tempi della KK/Nuova Zembla.
I video, rigorosamente in vhs, come da tradizione C.V. citano la politica internazionale e l’arte (da Bacon a Warhol), su cui non manca una buona dose d’ironia.

Nell’umida cantina del Tresor Powell, in coda a Neel, erige un ponte acid/EBM Chicago-Belgio di fine anni ’80, selezione tanto letale quanto paracula.
Contemporaneamente, al piano superiore, largo al sound inglese tra Young Echo e Modern Love: Vessel la mette in caciara con bassi grassi e roboanti (eufemismo per tamarri) che tanto piacciono ai pischelli; Millie & Andrea, ovvero Miles Whittaker e Andy Stott fanno il loro spettacolo consolidato: Uk old school rave con piccole variazioni sul tema. Andrà tanto per la maggiore ma a noi dice davvero poco.
Chi invece ci stupisce parecchio è il collettivo Killing Sound: questi giovanissimi talenti della new wave of grime disegnano strutture ritmiche oscure e fredde da cui spicca un rap a la Mike The Streets Skinner, proseguendo il continuum dello speed garage.
Il live è emozionante ma, posizionato sconsideratamente alle 5 del mattino, di fronte a una massa che chiede beats adrenalinici non può che prendersi fischi, così in meno di venti minuti la pista si svuota. Anche il successivo djset, a nostro giudizio di ottimo gusto, è troppo leggero (un mix di funk e ‘step) per intrattenere i ballerini, e di conseguenza gli tocca staccare la spina in anticipo.
Tornati nel bunker Sigha sta scalciando con energia aggiungendo qualche punta di mentalismo, ma il premio per il best djset dell’Atonal se lo guadagna Shapednoise, altro prodotto di qualità made in Italy.
Nino, questo il suo vero nome, prende le briglia della situazione con sicurezza, dando prova di maturità artistica e consapevolezza delle proprie capacità.
Per oltre due ore il dancefloor è messo a ferro e fuoco da un terremoto industrialcore e noise (vedi alla voce Pan Sonic) impartendo una lezione di vita a tutti quei Dj, molti dei quali iper famosi, che affermano di non poter suonare ciò che realmente vogliono perchè il pubblico non capirebbe.
Cazzate! Se ti senti di esprimerti in un certo modo fallo! Se sei sincero la gente ti seguirà e in caso contrario potrai sempre mandarli affanculo a testa alta!

Il festival termina domenica con l’isolazionismo di Helm, le scosse sismiche della svedese Sos Gunver Ryberg, il ritorno sul palco di band culto new wave quali In Aeternam Vale e Ike Yard (e per aver ritrovato entrambe guarda caso va ringraziato un certo Karl O’Connor), la jam tra Samuel Kerridge e Oake (di cui abbiamo particolarmente apprezzato l’ultima parte al limite della breakcore) e Tim Hecker, un buco nero che celebra la fine di ogni cosa da godere immersi nel buio totale.
Gli ultimi fuochi d’artificio però sono per la d’n’b di Source Direct che ci ricatapulta al Maffia di Reggio Emilia.
Finisce dunque l’Atonal, evento ambizioso e meritevole della massima attenzione, proiettato ai vertici del panorama elettronico europeo.
Tuttavia proprio per ciò non possiamo sorvolare su alcune pecche organizzative come le timeschedules, che più volte hanno dato l’impressione di non essere state meditate abbastanza (Killing Sound alle 5 al Tresor???!!!), o l’ammassare tutti i set, confondendo il festival con una normale maratona di clubbing, con la diretta conseguenza di veder restare all’aftershow appena il 30% dei presenti ai concerti (senza proferir parola sull’attuale clientela da Erasmus del Tresor).
Un altro problema è senza dubbio l’alto costo dei tickets (86 E l’abbonamento per quattro giorni, e circa 30 E a serata) che allontana i locals in favore dei più abbienti turisti stranieri.
A conti fatti se la proposta artistica manterrà un livello così elevato sarà sicuramente un’esperienza da ripetere, consigliata a tutti coloro che dalla musica pretendono qualcosa di più del semplice intrattenimento.

Federico Spadavecchia

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