Simon Valky è appassionato collezionista di musica “non convenzionale”, come ama definirla. Vive a Torino ma appena può scappa in Germania per frequentare concerti e festival. Dieci anni fa ha creato il portale Filth Forge, che è stato punto di riferimento per la scena industrial, sperimentale e rumorista.
Alla fine del 1975 i membri del gruppo di arte performativa COUM Transmission decisero di spostarsi nel campo della musica pop, proseguendo con lucidità nel programma di provocazione ed estremismo che avevano portato avanti fino a quel momento.
Come nome per la band scelsero Throbbing Gristle, una parola che nel dialetto dello Yorkshire significa “erezione”.
Genesis P. Orridge, Peter Christopherson, Cosey Fanni-Tutti e Chris Carter si cimentarono in una nuova carriera di terroristi sonori, facendo del proibito, del ributtante e del socialmente inaccettabile il loro oggetto d’interesse.
A questo scopo avviarono un’etichetta discografica autoprodotta, nel puro stile “do it yourself” che stava iniziando a prender piede in Inghilterra agli albori dell’esplosione punk, e la chiamarono Industrial Records.
Il riferimento non era tanto alla musica in sé, quanto all’idea della grande industria discografica che dominava incontrastata in quegli anni, creando ed imponendo mode e fenomeni giovanili.
Il nome dell’etichetta e lo slogan “industrial music for industrial people”, coniato dall’amico e collaboratore Monte Cazazza, finirono, loro malgrado, per battezzare un nuovo genere elettronico, le cui coordinate principali furono stabilite dagli stessi Throbbing Gristle con il primo epocale album The Second Annual Report (1977).
Anche se pubblicato in sole 785 copie per mancanza di fondi, il raggio d’influenza del debutto su vinile del quartetto fu immenso, ben al di là dei semplici epigoni che ne ripresero e svilupparono le intuizioni all’interno dell’industrial music.
Oltre a costituire, a tutti gli effetti, uno dei primissimi album a lunga durata completamente autoprodotto nel Regno Unito, facendo uso di sintetizzatori, nastri, rumori e suoni non musicali, la musica di The Second Annual Report andava ben oltre i tre accordi del punk.
La presa di distanza sarcastica da tutto ciò che era rock ‘n’ roll viene palesata da una delle due foto riprodotte sul retro di copertina: i membri del gruppo appaiono vestiti con giacche di pelle e magliette nere, capelli lunghi ed occhiali scuri, ma su una delle t-shirt compare la scritta Death Factory.
La seconda foto mostra invece il camino del forno crematorio di Auschwitz, la fabbrica della morte per eccellenza.
L’accostamento fa già capire quale aria tiri nella musica dei Throbbing Gristle.
I suoni sono inquietanti, freddi e dissonanti, una massa di distorsioni e rumori glaciali prodotti con strumentazione elettronica e sintetizzatori in buona parte autocostruiti. Il primo lato è un collage di tracce registrate dal vivo in varie location d’Inghilterra, tranne la breve Industrial Introduction, simile al rombo di una turbina ingolfata, che non mette l’ascoltatore esattamente a proprio agio.
La seguente Slug Bait – ICA è un muro di ronzii, scariche elettriche e rumori, sul quale la voce da maniaco di Genesis P. Orridge descrive freddamente le imprese di un serial killer che irrompe nella casa di una famiglia, uccide il marito davanti alla moglie incinta, dopo avergli reciso i testicoli ed averlo costretto a masticarli, infine strappa il feto dalla pancia della donna e lo decapita a morsi.
Se oggi siamo ormai assuefatti a immagini sanguinolente e morbose d’ogni genere, tra film horror sempre più ributtanti e progetti musicali che, dal grindcore al power-electronics, scavano sempre più a fondo, nel 1977 una “canzone” con un simile testo era qualcosa di davvero inedito e scioccante.
Altroché Anarchy in the UK…
Il resto dell’LP non era da meno, con l’estratto di un notiziario che parla del ritrovamento del corpo di una ragazza orrendamente sfigurato che emerge dai suoni cavernosi di Slug Bait – Brighton, le urla disperate e spaventose di Maggot Death – Studio, e gli sferraglianti rumori d’officina, seguiti da catacombali miasmi di synth, di Maggot Death – Southampton.
Il lato A si chiude con una registrazione della voce del DJ di un qualche club che insulta pesantemente il pubblico durante un concerto degli stessi Throbbing Gristle. Il lato B è costituito da un unico, lunghissimo pezzo, After Cease to Exist, colonna sonora dell’omonimo film realizzato dal gruppo ancora sotto la sigla COUM Transmission.
L’approccio in questo lungo ed angosciante viaggio sonoro è piuttosto diverso, e ci mostra come l’industrial music avesse, almeno alle origini, molto più in comune con la psichedelia dei tardi anni ’60 che con qualsiasi altro genere che l’abbia preceduta.
Invece di elevare l’ascoltatore verso le meraviglie del cosmo, questo genere di trip psichedelico lo affogava nei più neri abissi della paranoia e dell’inquietudine, mostrando senza reticenze disagi e disastri della società post-industriale e dell’evoluzione tecnologica.
Sebbene oggi mostri inevitabilmente il peso dei suoi anni e della povertà di mezzi con cui è stato realizzato (il gruppo si servì di un semplice registratore in presa diretta e di una cassetta vergine, senza sovraincisioni di alcun tipo), The Second Annual Report è un album capace di far correre ancora i brividi lungo la schiena in diversi passaggi, mentre intatte rimangono l’originalità e l’estraneità di questa musica a qualsiasi compromesso commerciale: questo non è l’industrial come lo intendono oggi nei gothic club, ovvero cassa dritta e voce gorgogliante, ma non sono nemmeno i Throbbing Gristle “ballabili” di Hot on the Heels of Love oppure What a Day, che qualche Dj un po’ meno imbalsamato talvolta s’arrischia a proporre su quei dancefloor.
Simone Valcauda aka Simon Valky
leggiucchiando (pt: II)