Clubbing in Uk: Libertà sì, ma vigilata

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Un trentenne deceduto al Warehouse Project di Manchester ed altre cinque persone ricoverate per intossicazione.
Il fatto e’ accaduto venerdi 27 settmbre, alla riapertura della maxi venue di Trafford, a Manchester, ed ha fatto scattare immediatamente l’allarme: la polizia ha diramato un comunicato tramite la BBC ed il sito del Warehouse Project, allertando tutti coloro che avessero assunto droghe, di fare attenzione ad eventuali malori. Ma la cronaca si tira dietro la riflessione: nel comunicato il noto club inglese sottolinea nel comunicato l’applicazione rigida ed incondizionata della “zero tolerance” sulle droghe.
The Warehouse Project operate a zero tolerance drugs policy and have strict measures in place to avoid any entering the premises.
Lo scorso fine settimana, il club e la polizia, come raccontato dal quotidiano locale Manchester evening news: “The club already had a policy of searching every clubber before being admitted and that has continued, with help from drugs sniffer dogs. The police operation around the venue has also been stepped up.” D’altronde misure di sicurezza più rigide di quelle attualmente in vigore nei club inglesi, si riscontrano forse all’aeroporto di TelAviv. Anzi no: li i cani antidroga sono un’eventualità, non la regola.
E’ concepibile trasformare momenti di libertà, in libertà vigilata? E’ concepibile utilizzare in maniera ordinaria misure che, va detto, ordinarie non sono?
Qualunque misura pur di evitare nuove tragedie non è una risposta: le droghe entrano lo stesso e certamente nel fugace passaggio di mano tra denaro e merce, è poco credibile che lo spacciatore consegni al cliente anche un prospetto informativo delle sostanze.
La polizia, nel lanciare l’allarme seguito alla tragedia di Manchester, non è riuscita ad evitare un auto-sarcastico: “It is possible that there may be a particularly bad batch of drugs out there in the community“.
E’ possibile circoli una partita “particolarmente” cattiva di droga. Quindi, le altre, si deduce, sono meno “particolarmente cattive“. Ma guai a dirlo.
La polizia inglese, per bocca di alti ufficiali illuminati, che parlano ovviamente a titolo personale, ha posto spesso la questione: non sarà arrivata ora di rivedere le politiche antidroga?
Sanno anche loro che nel meraviglioso mondo dello “spaccio” il tango si balla in due: gli spacciatori ed i consumatori.
E se la domanda diventa tanto forte allora l’offerta alzerà il tiro.
Lo sanno bene al Ministry, dove per anni hanno dovuto fronteggiare il racket dello spaccio gestito dai buttafuori  (http://www.dailymail.co.uk/news/article-1195900/Bouncers-turned-club-Ministry-DRUGS–I-risked-life-drive-out.html).
Eppure la storia non insegna nulla e insieme alle opinioni contrarie, oggi è messo al bando anche il buon senso: i club inglesi sono sul lastrico (http://www.catererandhotelkeeper.co.uk/articles/10/6/2013/348825/bars-push-nightclub-sector-to-shrink-by-a-third-in-five-years.htm) e l’eccessiva militarizzazione della vita notturna è certamente una concausa.
I proprietari dei locali assecondano qualunque sciocchezza della politica, pur di mantenere le preziose licenze, quegli stessi che oggi quranta o cinquantenni hanno iniziato la loro avventura negli anni della cultura rave, mentre la politica in Inghilterra è appannaggio dei ceti più colti e benestanti.
Che preferiscono la logica del bastone e della carota: club con orari berlinesi (dal 2005, nel Regno Unito, è possibile richiedere licenze per l’apertura h24) ma sistemi di sicurezza militare.
Libertà sì ma vigilata. E nessuno che abbia alzato il dito per dire: “quel morto lo hanno sulla coscienza gli ottusi politici di Londra” che nel 2008 hanno riclassificato la marijuana tra le droghe più pericolose, ignorando il parere contrario di una commissione nominata dal parlamento stesso, pur di guadagnare qualche voto.
E i proprietari dei locali balbettano, ripetendo a pappagallo quegli ammuffiti slogan anni ’90, inneggianti alla “tolleranza zero” ereditati dal sindaco-sceriffo di New York Rudolph Giuliani, soprattutto perchè sanno bene che i 21 cadaveri lasciati sulle dancefloor del regno nel 2013 da una “calata” andata male vanno imputati alle schifezze messe in giro dal mercato clandestino e all’assenza di educazione al consumo, resa impossibile da una caccia alle streghe assurda, inutile e che fa più danni della serata di “sballo” che vorrebbe contenere.

Massimiliano Sfregola

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