Trent’anni di carriera non sono esattamente una passeggiata, figuriamoci poi quando li si trascorre tutti in cima alle classifiche ed organizzando tournè mondiali una dopo l’altra.
I Depeche Mode sono stati il primo gruppo synth pop a tenere mega concerti, dimostrando come la musica elettronica possa conquistare anche le masse, senza mai comunque accettare compromessi con la banalità.
Una visione artistica che rimane lucida anche nel passaggio da gruppo di bravi ragazzi, che cantano il ritornello zuccherino di Just can get enough (1981), a star maledette e nichiliste. Due album eccezionali come Songs of Faith and Devotion (1993) e Ultra (1997) sono legati a doppio filo alla tossicodipendenza di Dave Gahan.
L’ultimo, Delta Machine, è il disco della definitiva e ritrovata serenità: un electro blues maturo, ispirato al loro stesso repertorio, in cui Martin Gore si concentra più sul suono che sui testi (ah se avesse avuto da ragazzo tutto questo ben di Dio di modulari!) e Dave trova più spazio come songwriter. A vegliare su di loro, come sempre, Andy Fletcher, l’elemento pratico e razionale della combricola di Basildon.
Ed è proprio in questa formazione che li troviamo al Palais Nikaia di Nizza per la grande festa di apertura del nuovo tour.
Una dimensione quasi intima viste le appena 9 mila persone (sold out da 3 mesi) che può ospitare la struttura in confronto agli stadi delle prossime tappe, ma forse proprio per questo più magica e sentita.
Un plauso doveroso va all’organizzazione perfetta del Nikaia: acustica cristallina, accompagnamento in sala come a teatro, punti di ristoro e bus speciali davanti all’entrata (ticket 1,50 Euro).
Sorvolando sui trascurabilissimi F.O.X. dall’Essex, i DM entrano in scena puntualissimi sul beat di Welcome to my world, prima traccia di Delta Machine che mescola dramma e ispirazione post dubstep. Dave è su di giri, salta come una molla per il palco giocando tutto il tempo con la sua immagine da sex symbol, ma soprattutto tira fuori una voce calda e potente.
L’età media del pubblico è abbastanza alta, così come la sua fedeltà: per la maggiorparte siamo vestiti di nero e quando si parte con i pezzi più vecchi ecco anche i brividi e qualche lacrimuccia.
Il leit motiv della scaletta è il flirt tra le tinte più dark di blues ed elettronica, con materiale estratto oltre che dal su citato Delta Machine anche da Songs of Faith and Devotion, Black Celebration, Violator, Playing the Angel, Ultra, Sounds of the Universe, Speak and Spell e Music for the Masses.
Enjoy the silence, Just can get enough e Personal Jesus sono sempre killer spietati, ma a nostro avviso la vera goduria è stata poter ascoltare canzoni meno proposte ma splendide come Barrel of a gun, Higher Love o Halo, qui eseguita nel remix dei Goldfrapp accompagnata dalle immagini di una Berlino innevata.
Su uno sfondo di video ad alta definizione a Dave spetta il compito di arrapare la folla, mentre i momenti intimisti sono affidati a Martin ed alla sua chitarra. Per il resto è un cantare tutti insieme per ben due ore e mezza. Un legame empatico così forte lo sanno creare solo i numeri uno.
I saluti sono affidati a Never let me down again nel delirio generale.
Never want to come down,
never want to put my feet
back down on the ground.
Federico Spadavecchia