Detroit è nera, Detroit è scura, Detroit è come la caduta di una stella, Detroit è il tramonto, Detroit è l’alba, Detroit è l’anima dell’underground, Detroit è il passato, Detroit è il presente, Detroit è l’onda di un nuovo suono.
Queste sono le parole che hanno fatto da motto al I am from Detroit festival organizzato a Torino, la manifestazione ideata con lo scopo di spiegare al pubblico italiano l’importanza e l’influenza della cultura Techno.
E così dopo aver ospitato la nuova promessa del sound made in USA Dj 3000 al club Fluido, venerdì sera è la volta di una delle leggende della Motor city: Robert Hood.
Appartente alla seconda generazione Techno, insieme a Jeff Mills e a Mike Banks Robert forma il collettivo degli Underground Resistence con i quali ha affermato definitivamente la musica Techno a livello planetario.
Location per lo speciale evento è il The Beach: suggestivo club sito sul lungo Po caratterizzato da un ampia pista, un impianto bello potente ed entrate a vetri che permettono ai ballerini di gustarsi la musica ammirando le luci della città riflesse nel fiume.
Ad aprire le danze ci pensa il bravo Gigio, che intrattiene la pista con melodie dolci (molto interessanti alcuni dischi basati sulla chitarra) e beats a salire dando una perfetta panoramica su quella che è la musica elettronica di matrice detroitiana.
La selezione di Gigio ci permette di bere un paio di cocktails ed iniziare a scaldarci sul dancefloor in trepida attesa del celeberrimo ospite.
Sono le due e un membro dello staff introduce finalmente Robert Hood che, senza tanti fronzoli, inizia un set che definire esplosivo appare alquanto riduttivo: la prima ora di set è un rispolvero dei grandi inni techno e house degli anni ‘90 con Energy Flash e French Kiss a dare a tutti il benvenuto e a sottolineare come da quel momento in poi niente sarebbe stato più lo stesso.
Parlando del suono della Motor city e dei suoi alfieri ho più volte utilizzato il termine “sambodromo” per indicare il loro particolarissimo uso di groove, giri di basso e percussioni di ogni tipo. Questo proprio perchè le caratteristiche principali delle loro sonorità sono la grande energia e melodie happy che, senza mai risultare scontate o banali, fanno danzare tutti i presenti fino alla fine della festa.
Ed anche stasera ecco che la magia si ripete: un pubblico veramente eterogeneo, composto da persone molto diverse tra loro (appassionati di musica, edonisti festaioli, bellissime ragazze…), i cui cuori battono all’unisono al ritmo scandito dalla cassa piena di Hood.
Passa la prima ora di set e per un attimo la musica pare quasi fermarsi accartocciandosi su stessa, è solo un’illusione però, anzi è la quiete prima della tempesta: il ritmo sale di colpo, squadrato e marziale, con vortici percussivi che entrano nei corpi dei clubbers attraverso le gambe scuotendogli violentemente l’anima per poi insidiarsi nei loro cervelli.
Siamo tutti così presi dalla musica che tempo e stanchezza non contano più…e come prima c’è un attimo in cui la tensione sembra placarsi ma che in realtà è solo l’ultimo gradino, il cambio di passo definitivo verso battiti sempre più veloci e armonie che ci rapiscono definitivamente. Guardandomi attorno non posso far altro che notare sorrisi sulle facce di tutti i presenti.
Alle 4 e mezza passate Robert ci saluta e in consolle sale Federico Gandin che continua sulla strada intrapresa dall’americano regalandomi poi la gioia di tornare alla realtà dolcemente sulle note di Jaguar di Rolando.
Detroit come detto all’inizio è molte cose, ma da venerdì sera potrà anche essere tradotta in Italiano con Torino.
Federico Spadavecchia