Nonostante i suoi allievi dell’Università di Buffalo lo conoscano solo come professore di disegno, Mike Parker è uno dei nuovi idoli techno che nel Vecchio Continente, ma nel suo caso anche in Giappone, riempiono club e festival.
Normalmente accasato su Prologue e sulla sua Geophone esce recentemente su Repitch Recordigs con uno split assieme al berlinese Sleeparchive.
I due artisti condividono la passione per le frequenze analogiche annodate in grooves oscuri e ipnotici senza soluzione di continuità.
Il disco lasciato semplicemente senza titolo contiene un paio di tracce dell’artista americano: la granitica Flying Nerves, una boccia da demolizione lanciata nel buio, e Lustrum, ribollio modulare ridotto all’essenziale eppure magnetico, che ne riflette il carattere schivo.
Lo abbiamo raggiunto telefonicamente negli USA per conoscerlo meglio.
Ciao Mike a un primo ascolto il tuo sound pare figlio del matrimonio tra il primo minimalismo techno detroitiano degli UR e lo sperimentalismo industriale europeo del periodo post punk con band come Throbbing Gristle e Einsturzende Neubauten. Ti ci ritrovi?
Sì, i Throbbing Gristle hanno avuto un forte impatto sulla mia formazione musicale quando ero un teenager negli anni ’80. La prima traccia loro che ho ascoltato in assoluto è stata Five Knuckle Shuffle.
I T.G. avevano uno spirito indipendente così forte che mi ispirò a comporre la mia musica. Il mio album preferito degli Einsturzende Neubauten è probabilmente Drawnings of O.T..
Il revival di quelle sonorità ha giocato un ruolo fondamentale per lo sviluppo dell’attuale new wave of techno. Che ne pensi?
Spero che le persone apprezzino il lavoro artigianale che c’è dietro. Ho visto i Shxchxchxch fare il soundcheck prima della loro performance a Copenhagen quest’estate e fanno davvero attenzione al suono che vogliono ottenere.
Qualche tempo fa il giornalista Adam Harper paragonava la nuova generazione di produttori digitali alla scena punk do it yourself di fine anni ’70. Sei d’accordo?
Non credo che sia nulla di nuovo perché ricordo nei primi ’90, quando ho iniziato a frequentare i club, alcune persone paragonare la scena rave al punk perché la musica veniva fatta da persone che non avevano studiato la materia in modo classico, per di più direttamente in cameretta. Ecco concordo col dire che c’è una comunanza di spirito do it yourself ma non è una novità.
Quando hai iniziato a produrre techno?
Sono all’incirca 30 anni che mi occupo di musica elettronica. Ho iniziato a studiarla a 15 anni quando facevo le superiori e ho comprato il mio primo sintetizzatore, un Korg Mono/Poly, che ho ancora nel mio studio. A quei tempi ero molto influenzato da Tangerine Dream e altri musicisti della scuola berlinese come appunto Klaus Schulze. Così la techno è stata un’evoluzione davvero naturale, e sono felicissimo di continuare ancora oggi perché dopo 20 anni che faccio questa musica mi piace ancora tanto.
Come si lega il tuo lato techno con la tua carriera accademica?
Sono molto interessato alle nuove tecnologie per esempio. Insegno disegno e alcuni dei miei studenti, non molti per la verità, usano una sorta di tablet collegata al Pc. Sono molto aperto a questi metodi alternativi perché ritengo che ogni cosa porti innovazione nell’arte debba essere incoraggiata.
Quando ti esibisci come Dj però preferisci ancora i classici giradischi, come mai?
Posso solo dire che è un modo di lavorare con cui mi trovo a mio agio. Ci sono altri artisti che con i software creano cose meravigliose, ma nel mio caso funzionano meglio i vinili.
Ma preferisci usare i dischi per raccontare una storia o per ricombinarli alla ricerca di nuovi suoni?
Suonando in prevalenza produzioni mie direi che faccio entrambe le cose. Produco sempre cose nuove e mi trovo spesso a pensare a come utilizzarle. Il djset mi permette di portarmi avanti con questo lavoro.
Cosa ti piace ascoltare a casa per rilassarti?
C’è un producer ambient americano che apprezzo molto: Steve Roach.
Continui a vivere negli Stati Uniti ma tutta la scena pare essersi trasferita in massa a Berlino. Pensi che il trovarsi tutti nello stesso posto possa in qualche modo danneggiare la musica uniformando le visioni artistiche?
Per quel che mi riguarda le circostanze sono state un po’ differenti. Avrei potuto trasferirmi anch’io a Berlino ma qui ho una carriera nell’insegnamento. Mi piace comunque passare molto tempo in quella città, ad esempio la scorsa estate ci sono rimasto per cinque settimane. Ogni volta che ci vado la trovo in gran forma creativamente parlando. Poi non si sa mai nella vita, magari prendo e trasloco domani.
A proposito di Stati Uniti la musica elettronica è diventata un bell’affare da quelle parti…
Dal mio punto di vista i giovani americani hanno una vasta scelta sul tipo di musica elettronica da apprezzare. Da quello che vedo, la maggioranza sceglie musica con voci e testi. Allora posso solo predire che questa così detta EDM collasserà e si brucerà in poco tempo, una volta che la prossima generazione si sarà buttata su un altro stile che enfatizza il cantato in un modo più tradizionale. Dal lato del business credo che alcuni investitori possano perdere soldi da questa cosa. Francamente l’EDM è imbarazzante.
Cambiamo argomento: come sei entrato in contatto con il team della Repitch?
Credo di averli incontrati al Berghain. Per loro avevo già fatto un remix prima di questo split con Sleeparchive ed è stata una bella esperienza. Sono ragazzi davvero a posto.
Su cosa stai lavorando adesso?
Ho in cantiere un nuovo EP per la Prologue e qualche remix per altre labels. Mi piacerebbe anche dedicarmi a qualcosa di completamente nuovo ma non lo so ancora nemmeno io.
Magari potresti collaborare con qualche artista che stimi particolarmente…
Non sono sicuro di volerlo. Ho già lavorato con altre persone in passato e ci sono di mezzo un sacco di inconvenienti come il fatto che viaggio molto. Credo che lavorerò da solo per un bel po’.
Federico Spadavecchia