Xhin “Sword” (Stroboscopic Artefacts)

0
715

La Stroboscopic Artefacts, etichetta tedesca ma guidata dal nostro connazionale Lucy, è sicuramente da annoverare tra i cardini del riscoperto movimento techno che, dopo aver lasciato campo libero all’house negli ultimi quattro anni, sembra essersi svegliato dal suo torpore per tornare ad imporsi sul dancefloor.
Chiaramente stiamo parlando di techno di matrice mitteleuropea visto che la scuola detroitiana ha sempre fatto storia a sè, con la sua vena minimale ma funky, cupa e dirty ma al contempo di scintillante eleganza.
Un’altra premessa obbligatoria riguarda un termine dal quale ormai è impossibile, o quasi, prescindere: il sound design, una scienza legata a doppio filo al progresso della computer music.
Se fino ai primi duemila il sound design era materia di stretta competenza delle avanguardie, con l’esplosione della minimal assistiamo alla nascita di una sorta di corrente neo classica in cui la ricerca del beat perfetto ha la precedenza su qualunque altra cosa. Tuttavia la carica innovativa del genere è presto vittima della banalità di migliaia di mediocri producers attirati dall’idea di facili guadagni.
Manco a dirlo la capitale di questa ennesima techno rivoluzione è Berlino, dove le battute più dure non sono mai state messe in naftalina, e soprattutto dove si può contare sull’apporto di una leggenda quale Hardwax, che non solo ha rilanciato la dub tech, ma ha anche avuto un ruolo fondamentale nell’evoluzione del dubstep arrivando ancora una volta a rivaleggiare con Londra.
Protagonisti della situazione sono un mix di veterani e giovani promesse di varia nazionalità come ad esempio Adam X, Chris Liebing, Regis, Function, Ruskin, Surgeon, Marcel Fengler, Lucy, Perc, Norman Nodge, Emptyset, ed il nostro Xhin, che si sono imposti grazie a grooves granitici e atmosfere così oscure da rasentare l’industrial.
La critica più comune che viene mossa loro è quella del fare le stesse cose della Stigmata di dieci anni fà solamente più lente ma in realtà non è proprio così.
Pur ammettendo infatti una comunanza di mood (dovuta comunque al fatto di avere tra i suoi autori mostri sacri dell’era precedente), quest’ultima wave si distingue dalla schranz di scuola CLR per essenzialmente due caratteristiche: innanzitutto laddove Liebing ricercava una materia grezza e senza fronzoli da buttare sui piatti a velocità supersonica, quasi in stile punk, da manipolare usando tre piatti, la techno 2.0 è frutto di una maturazione stilistica molto attenta sia a celebrare le origini (eterna gloria alla Basic Channel) che a sperimentare flirt con l’IDM e l’avanguardia, avendo in testa artisti come Alva Noto e Pan Sonic, quindi si orienta sulla rotta Berlino-Detroit appropriandosi dei riferimenti all’esplorazione dell’universo e del duello uomo macchina elaborati dagli UR.
Il quartier generale della scena, come avvenne nei primi ‘90 (ricordate la mitica cellar room del vecchio Tresor?), è stato individuato in un locale berlinese, ma a differenza di allora le produzioni vengono studiate appositamente per dare il massimo tra i Funktion One del Berghain, in quanto grande tempio della perfezione acustica e di notti quasi infinite al riparo dalla luce del sole.
Prodotto e registrato interamente a Singapore, Sword è un album figlio della techno di oggi, aggressivo ma attento all’eleganza della forma dell’onda sonora, che si diverte nel far interagire ricerca e clubbing.
Le tracce ritmiche sono senza alcun dubbio il punto di forza di un disco che esalta le influenze ricevute da tutti i nomi sopra citati, sia nel sound che nell’affresco proposto di mondo soggiogato da una tecnologia matrigna.
Quella di Xhin è una visione onirico-cibernetica che si riflette in colpi di cassa brutali, linee di basso al laser, dolci polifonie angeliche (sulle parti ambient a nostro avviso c’è però ancora da lavorare), microrumori e un senso di vuoto che ti attanaglia lo stomaco.
Blade Runner è tornato in azione.

Federico Spadavecchia

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here