Il tempo della pausa pranzo e il gioco è fatto. Rigiro tra le mani la preziosa confezione e non vedo l’ora di essere a casa per scartarla, sfogliare il libretto per carpirne ogni dettaglio capace di rivelare connessioni inedite mentre l’impianto riempie l’etere di beats in cortocircuito e melodie ubriache.
E’ inutile starci a girare intorno la Warp di Sheffield (anche se da un bel pò si è trasferita a Londra) è stata la migliore label degli anni ‘90, o quanto meno l’unica in grado far comprendere al mondo la valenza culturale della Techno; insomma se oggi parliamo di club culture lo dobbiamo sostanzialmente a loro.
Alla base di questo incredibile successo vi è un’idea rivoluzionaria per la scena dance: produrre album di musica elettronica quando fino ad allora non ci si era mai spinti oltre la pubblicazione di singoli. Di conseguenza il “produttore” da oscuro abitante delle cantine assurge al ruolo di musicista riconoscibile dal grande pubblico che, finalmente, non deve più districarsi in un labirinto di alias e whitelabel; inoltre, dovendo riempire un cd di 60 minuti, senza comunque realizzare una compilation di hits, il nostro producer, ormai sicuro dei propri mezzi creativi non ha che un’unica via di fuga: mandare il dancefloor a farsi fottere!!!
Gli ultimi spiragli di ritmica in 4/4 sono il primo Selected Ambient Works di Aphex Twin e l’album omonimo di Mark “LFO” Bell, quindi la missione diventa fare musica che si possa godere anche nel salotto di casa senza i potenti soundsystems da rave.
Per distingure questo nuovo approccio da quello tradizionale si inizia a parlare di IDM, un acronimo saccente che sta per Intelligent Dance Music.
In un primo momento il tema ambientale era il principale tratto distintivo del genere ma successivamente alla serie Artificial Intelligence, cui apparteneva lo straordinario Incunabula degli Autechre, era chiaro come il futuro si sarebbe nutrito in abbondanza di breakbeats, struttura in passato snobbata per la sua vicinanza alla scena hardcore britannica.
Aphex Twin, Squarepusher, Autechre, LFO, Luke Vibert, The Black Dog, Boards of Canada sono solo alcuni dei nomi cui la Warp ha dato la possibilità di emergere ed imporsi come geni assoluti (Squarepusher oggi si insegna nei conservatori); sul finire degli anni ‘90 la compagnia di Sheffield si trasferisce a Londra: erano diventati la prima Major dell’elettronica.
Richard D. James nel 1999 firma l’ultimo grande inno rilasciato dalla Warp: Windowlicker (il cui titolo gioca tra l’essere un’espressione dispregiativa per indicare una persona con handicap mentali ed il riferimento ai tipici suoni del sistema operativo della Microsoft usati nella traccia).
Il singolo raggiunge la posizione numero 16 nella chart del Regno Unito.
Nel 2001 si chiude un’era: viene a mancare il cofondatore Rob Mitchell e l’etichetta inizia a disperdersi. Nel 2002 dopo la pubblicazione dell’album Druqs Aphex decide di dedicarsi unicamente alla sua Rephlex recordings.
Troppi artisti con troppe influenze, seguire una linea editoriale compatta diventa sempre più difficile e il confine tra la sperimentazione funzionale e le pippe mentali di derivazione prog rock diventa sempre più labile.
I primi dieci anni degli anni 2000 passano quasi nell’indifferenza con i soliti Boards of Canada, Autechre e Squarepusher cui si aggiungono gli indierockers Maximo Park e il jazzista Vincent Gallo. Bisogna aspettare fino al 2009 per avere segnali di una rinascita artistica grazie soprattutto a Mark Pritchard aka Harmonic 313 ed al suo esasperato Wonky beats.
Oggi la Warp festeggia i 20 anni di attività col suo fare di sempre, geniale e al tempo stesso egocentricamente eccessivo, pubblicando ben due doppi cd: Chosen e Recreated.
Il primo raccoglie dieci tracce scelte via internet dai fan (quindi largo alle megahits ma anche a qualche sorpresa) e altre 14 selezionate dal boss Steve Beckett in persona; una pietra miliare per conoscere e apprezzare un intero Universo.
L’altro doppio, invece, è consigliato soltanto ai fan più accaniti e propone artisti Warp che remixano altri artisti Warp, ma il risultato è più una raccolta di firme sul biglietto di auguri che non di canzoni di cui si sentiva effettivamente il bisogno. Alla fin fine in una festa una fetta di torta non la si nega a nessuno.
Federico Spadavecchia