Abe Duque “Don’t be so mean” (Duque Rec.)

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Ci sono artisti che quando hanno qualcosa da dire non lanciano appelli su myspace o su facebook ma affidano il loro messaggio unicamente alla musica, e nel caso in cui questo fosse troppo importante per un classico 12″ allora ecco il bisogno di scrivere un intero album.

Abe Duque è un personaggio molto particolare, condannato dal destino a stare sempre dalla parte delle minoranze: statunitense ma di origine latinoamericana ha dedicato la sua vita alla musica elettronica, genere di nicchia già di partenza ma che negli USA è talmente di più 6 feet under, da diventare il leit motiv del suo disco d’esordio “So underground it hurts“.

Don’t be so mean” è la terza prova a lunga durata di Abe che questa volta si confronta da una parte con la politica estera di Washington e dall’altra con la sua stessa vita movimentata.

Il nostro Dj, infatti, ha una biografia alquanto interessante: figlio di un pastore evangelico si è comprato il suo primo sintetizzatore con quanto guadagnato consegnado giornali ed ha quindi imparato ad usarlo suonando nella chiesa del padre; dal 1992 ha intrapreso la carriera di Dj/discografico a New York ed allo stesso tempo si è arruolato nei marines, nonostante la sua contrarietà alla diffusione delle armi.

Quest’anno è stato addirittura arrestato a NY in aereoporto con l’accusa di “potenziale terrorismo” perchè trovato in possesso di un’arma: il coltello d’ordinanza fornitogli dallo stesso Governo.

A livello sonoro anche stavolta Abe sfoggia la sua passione per l’acid house ma ne ammorbidisce i toni: le undici tracce compongono un paesaggio notturno in cui le stelle illuminano la strada ai viaggiatori in un percorso ideale da New York a Chicago.

Ed ecco quindi spazio a battute profonde, riverberate e soprattutto non votate esclusivamente al 4/4 (”OFMA“,”Forever untitled“), e a romantici cantati e linee di tastiera (”Following my heart“, “Salute The Dawn“, “Forever untitled“).

L’apice dell’album lo si raggiunge però con la doppia collaborazione con Blake Baxter, una vera leggenda della scena acid, con cui Abe dapprima ricorda i bei vecchi tempi (”Let’s Take It Back“) dei quali bisognerebbe recuperare i valori (Let’s take it back when we used to play, when Techno had a groove and House made you move) , e quindi esorta a darsi una mossa (”Wake up“) e a rendersi conto che se la Techno e l’House sono ancora al vertice è perchè non hanno mai cessato di essere underground.

Federico Spadavecchia

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