“Non si vende più musica, internet ha ucciso il mercato musicale.” dicono in tanti. Sarà vero?
Una risposta definitva non c’è ma una lettura della reltà, può suggerire che l’esercito di giovanissimi (e meno..) quelli che acquistano musica digitale ma, soprattutto che si procurano musica scaricata da torrent, da link ad oscuri siti ucraini pieni di spam e di immagini raccapriccianti o che “rippano” album interi ben camuffati su YouTube, hanno certamente rimescolato le carte del good-oldfashion “produci-vendi”.
Gli store online arrancano, rispetto alla mole di materiale scaricato illegalmente, grazie anche al lavoro di Robin Hood digitali che condividono il loro acquisto (legale) con il mondo, senza chiedere in cambio un cent.
La musica è di tutti, il diritto d’autore è morto con la diffusione di internet, l’abbattimento di costi di produzione non ha avuto, come riflesso, l’abbattimento dei costi finali al pubblico: costa poco produrre musica, costa -ancora- molto acquistarla.
Destino condiviso da molte altre discipline: dalla fotografia al giornalismo al video-making, la condivisione è ormai una cultura, una cultura che rispecchia il mondo odierno. Infondo, si può essere d’accordo o meno ma condividere musica, video ed altro non è reato in gran parte dei paesi del mondo.
La RIAA, potentissima lobby americana dei discografici, le ha tentate tutte da anni per far adottare al proprio paese ed all’UE misure draconiane contro i “ladri di creatività” ma se dev’essere la logica – e non l’emotività o la forza economica di una lobby, allora la legge francese e quella approvata di recente nel Regno Unito, che prevedono la disconnessione da internet per coloro che scaricano file illegali ed una denuncia penale, sono certamente una misura punitiva senza alcuna logica: ha senso costruire una diga nell’oceano?
Ha senso, come fanno diversi artisti – soprattutto dagli -anta in su – ricordare l'”età dell’oro” e chiedere la scure non contro gli “scaricatori” (e farebbe già sorridere..) ma addirittura contro internet?
Tanti di loro, più grottesco che ironico, vengono dalla scena “underground“: si sono formati in spazi sociali (illegali) che per anni non hanno riconosciuto un centesimo alle società degli autori, suonando archivi interi di produzioni piene di campioni non ufficiali (leggi illegali).
Tanti di loro, proprio di loro, parlano di leggi e regole – valide, ovviamente, solo per gli altri – dimenticando il “loro” tempo da corsari e dimenticando il particolare più rilevante: la fruizione gratuita di musica, come racconta un eloquente articolo del Guardian http://www.guardian.co.uk/commentisfree/2012/sep/18/illegal-music-filesharing-mainstream-ed-sheeran, non è più un fenomeno da adolescenti geeks ma una realtà di massa.
I “ladri di arte” sono ovunque, sono tra noi, potrei essere io, potremmo essere tutti: cosa fare allora? Impiegare la polizia delle comunicazioni di mezzo mondo per denunciare milioni e milioni di utenti? Spendere palate di euro per tecnologie “militari” di protezione digitale (fino ad ora, nessuna si è rivelata anche solo “minimamente” efficace.)?
E se invece, più semplicemente, si acettasse che l’evoluzione del mercato, “giusta o sbagliata che sia“, ha significato uno spostamento negli “introiti” del music biz?
Una volta si vendeva musica, oggi si vendono “brand” (che siano poi mainstream o di nicchia è irrilevante: il meccanismo resta lo stesso).
Inoltre, ben pochi “commentatori della consolle” ricordano i danni causati dalla crisi economica in corso: la peggiore del mondo occidentale dal dopoguerra. Ovvero la peggiore nel più grande mercato di musica elettronica del pianeta.
Il sillogismo è semplice: se la recessione colpisce i paesi dove si produce e si fruisce, maggiormente, e riguarda prettamente i giovani, ossia i “clienti” di questa fetta di mercato, i consumi (leggi gli acquisti) caleranno e la domanda di musica verrà soddisfatta in altra maniera (scaricando mp3 o “rippando” i CD di amici o conoscenti).
Per producer ed indipendenti non è un momento facile ma la rete, il mercato globale e la condivisione possono offrire scenari impensabili per poter garantire agli artisti un introito dal proprio lavoro. A patto non ci si fossilizzi su concetti un pò banali come “mio e tuo“: parlare di furti, nell’epoca dell’immateriale, fa sorridere. Che a parlarne, poi, siano personaggi che vengono dall’epoca dei “free parties” fa addirittura incazzare.
Massimiliano Sfregola