Dour ’11

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Ci sono almeno tre buone ragioni per fare una bella gita in Belgio, la prima è sicuramente la sua tradizione culinaria con le sue incredibili birre e dolci di cioccolata d’ogni tipo, quindi la voglia di visitare la sede delle istituzioni più importanti dell’Unione Europea, ed infine la Musica.
Già perchè questo minuscolo staterello è da considerarsi patria della musica elettronica al pari delle più blasonate Inghilterra e Germania, avendo prodotto generi innovativi quali l’EBM e la New Beat (addirittura battendosi con Detroit per i natali della Techno, per la quale non tutti sono concordi nell’attribuirne il merito al Trio di Belleville).
Sul suo territorio si tengono inoltre alcuni dei festival più importanti della scena non soltanto elettronica ma anche del Rock e del Pop.
Ci sono anche casi come quello del Dour Festival in cui per quattro giorni 150.000 appassionati degli stili più diversi ma ugualmente vogliosi di fare festa si radunano in un enorme campo poco distante da Bruxelles.
Noi per ragioni di tempo e di line up puntiamo sulla giornata di sabato che offre una sostanziosa parte dance (anche se perdermi i Pulp mi ha fatto girar le palle visto che li seguo dal 1995).
La maratona inizia alle 5 del pomeriggio sotto i colpi dello showcase della True Tiger label: dubstep classico a tratti wonky, ottimo per iniziare con energia.
Non male nemmeno Kastor & Dice ma visto che lo stile era in linea con i loro predecessori abbiamo optato per un cambio di palco anzi di tendone (c’erano 6 tende da circo dalla capacità superiore alle 2000 persone più lo stage all’aperto per gli headliners rock).
Qual’è la peggior cosa che può capitare in un evento che si svolge in grandi spazi campestri? La pioggia!! risponderete in coro; ma tanto siamo in piena estate come potrebbe piovere? Ecco, adesso dovete sapere che nei Paesi nordici luglio in realtà si legge novembre, ed i grossi nuvoloni grigi avevano deciso di mettere in pratica tutte le loro minacce buttando giù secchiate d’acqua e di consguenza innescando letteralmente un’inarrestabile macchina del fango.
In alcuni punti il terreno andava talmente in profondità che bisognava cercare un appiglio o studiare il guado migliore. Morale della favola per ogni spostamento serviva almeno un quarto d’ora.
Fortuna che a regalarci un pò di sole ci ha pensato Ghostpoet mescolando afro jazz con ispirazioni alla Gil Scott Heron ed atmosfere grimey. Uno spettacolo davvero godevole e caldo!!
Pariah dal canto suo ha spiegato come dovrebbe comportarsi oggi un Dj, andando a cercare il meglio in ogni direzione e cercando successivamente un filo logico che possa legare il tutto per il meglio. Non si giura eterna obbedienza a niente e a nessuno!!!
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Peccato, invece, per Joker che appare stanco e fuori forma, spara a raffica le sue hits senza neanche mixarle precisamente, dando la sensazione di trovarsi davanti ad una vecchia gloria che tornata in scena dopo 20 anni prova a riconquistare i favori del pubblico con un repertorio ormai superato e, peggio, mal eseguito.
A proposito di antichi eroi è il turno degli Herbaliser che riportano in vita quel mix tra future jazz electronico e triphop made in Ninja Tune molto in voga nei ‘90. Lo show anche in questo caso è ben costruito e i musicisti sono davvero bravi, ma il loro sound, risentendo forse troppo del tempo passato, non è poi così coinvolgente.
Piccola pausa per mangiare patatine fritte condite con pioggia (merita invece una menzione speciale il prezzo davvero modesto di cibi e beveraggi) e riprendiamo con una delle performance più attese.
Nosaj Thing ormai è un artista maturo in grado di mettere in piedi uno spettacolo audio/video suggestivo e ricercato. I suoi pezzi sono una ventata di freschezza per l’IDM: i beats sono
periferiche usb in rivolta mentre le melodie evocano placidi laghi digitali.

Chi tra tutti rimane fedele alla linea sono i 16Bit: le cinghie dentate del loro basso/sega elettrica lacerano la carne dei ballerini facendo volare arti nella palude all’esterno dell’arena. Poco innovativi forse, ma estremamente divertenti!

Flying Lotus, Dorian Concept e Richard Spaven sono il super gruppo in prime time e non tradiscono le aspettative.
Batteria suonata live inseguendo ritmiche contrarie alle leggi della fisica, e tastiere che tinteggiano galassie lontane con al centro il producer di Los Angeles a cooridinare le operazioni.
Tra tutte le strade intraprese dal post dubstep questa è senz’altro la più credibile ed eccitante.
The Gaslamp Killer ci intrattiene con un mashup ironico e movimentato fino a quando è ora di correre dai nostri eroi preferiti Luke Vibert, in un’inedita esaltante versione acid breaks versus Bruce Lee, e Ceephax Acid Crew con un live nuovo di pacca tutto ancora rigorosamente analogico e acidissimo!!!
Andy e le sue drum machine raccontano la grande storia dell’Uk rave trovando sempre le parole più attuali. Tra hit hat inferociti e inni da cantare a squarciagola non distinguiamo più tra pioggia, sudore e lacrime di emozione.
L’ultimo quarto d’ora prima di affrontare la giungla che ci separa dalla macchina lo dedichiamo al nuovo idolo della disco Tensnake, ma onestamente è troppo poco per poter dare un giudizio puntuale. Recupereremo al più presto.
Il Dour si conferma un festival dalle proposte interessanti e, nel complesso, dalla buona organizzazione (impianti potenti e ben equalizzati, spazi per i disabili, servizi igienici funzionali, prezzi contenuti) ma va detto che essendo i temporali ormai una certezza di ogni estate sarebbe stato auspicabile l’installazione di un corridoio di sicurezza con piastrelle mobili ed un parcheggio asfaltato per evitare che le auto restassero impantanate per ore. Ancora, a meno che non si sia eterni bambini che amano sguazzare nelle pozzanghere (anche a piedi nudi, ebbene sì c’è chi l’ha fatto), passare quattro giorni in tenda nel campeggio del festival non rientra nelle Top ten delle nostre vacanze da sogno. Una volta basta e avanza, come si dice qui a Genova niatri emu za detu.

Federico Spadavecchia

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