Tower Transmissions XI: Dresda non conosce pace

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Il mese di settembre segna l’appuntamento con il Tower Transmissions di Dresda, un festival ormai iconico dedicato alla musica industrial e ai toni più cupi e sperimentali. Giunto alla sua undicesima edizione, continua a distinguersi per una line-up internazionale che attira appassionati e artisti da ogni parte del mondo.
Il primo set è a cura di Minimum Sentence, progetto recente di un artista britannico che si muove nell’ambito della musica elettronica industriale. Il suo stile si colloca tra ambient e noise di sperimentazione, diversificandosi per composizioni a volte complesse, ritmiche stratificate, paesaggi sonori psichedelici impreziositi una tantum da interventi vocali parlati. A schermo intero scorrevano immagini in bianco e nero tratte dal film Viy – La maschera del demonio, un classico dell’horror sovietico del 1967 ispirato a un racconto di Gogol. Questo elemento si è rivelato una scelta decisiva per potenziare ulteriormente l’impatto di questo show, rendendolo ancora più incisivo e coinvolgente. Ambientazioni sospese, riverberi profondi e un sapore noir intriso di psichedelia: questa è la vera essenza dei PÅGÅ, un proposito musicale che nasce dalla creatività vibrante dei fratelli Pelle e Gottfrid Åhman. Ex membri degli In Solitude, dove prestavano rispettivamente voce e basso, i due artisti svedesi intraprendono con questo nuovo percorso un viaggio sonoro capace di trasportare l’ascoltatore in dimensioni intime e enigmatiche. La loro musica sembra abbracciare il concetto di collage sonoro, con frammenti che si incastrano perfettamente per creare atmosfere che catturano e avvolgono. Questa ricerca viene ulteriormente amplificata dalla parte visual che si tinge di una palette cromatica magnetica, riflettendo perfettamente il carattere misterioso e raccolto della loro arte.
Dopo aver offerto due esibizioni relativamente “tranquille”, è giunto il momento di intensificare il ritmo e puntare più in alto. PFFFT…! è una realtà autonoma e indipendente che opera da oltre quarant’anni, caratterizzata da una continua evoluzione. Le prime attività risalgono al 1984 e proseguono senza interruzione. Le trasformazioni che lo attraversano sono imprevedibili, non possono essere definite né gestite o anticipate. Non hanno mai avuto una discografia completa, ma il loro approccio e il loro stile emanano un’essenza profondamente legata alla vecchia scuola, soprattutto durante le esibizioni. Sul palco si distinguono per l’utilizzo di lamiere, martelli, megafoni e proiezioni in tempo reale, integrando ogni elemento necessario a dar vita a performance uniche e impossibili da replicare:la vera essenza dell’industrial primordiale.
La sala si riempie rapidamente, in attesa del momento dei Kommando, predecessori dei Thorofon. Un nome già apprezzato e stimato che permette di mantenere in parte il mood precedente. Il duo è composto da Anton Knilpert e Geneviève Pasquier, entrambi già conosciuti per i rispettivi progetti solisti, che occasionalmente si avvalgono della collaborazione di altri musicisti. Un’ora caratterizzata da sonorità industriali dal ritmo energico e ipnotico, meno fisiche rispetto a quanto già visto, ma più ricercate e curate nei dettagli. Anche i video si distinguevano per un’attenzione particolare all’uso mirato e creativo dei colori. Nocturne è nato come un ambizioso programma concepito da Saphi nel lontano 1994. Nei suoi esordi, si caratterizzava per una forte impronta ambient e noise, avvolgendo gli ascoltatori in lande sonore penetranti e strutturate. Tuttavia, con il trascorrere del tempo, Nocturne ha attraversato una significativa metamorfosi, spostandosi verso ambiti più elettronici e ritmici, pur mantenendo intatta la sua capacità di innovare e reinterpretare le tematiche artistiche esplorate. Quest’evoluzione lo ha condotto ad una dimensione più profonda e personale, arricchita dall’affascinante voce e dalla presenza magnetica di Cécile F., che ha ulteriormente intensificato la carica emotiva e l’espressività dell’opera. Nocturne nei suoi act si distingue per un set minimale dominato dalla tonalità del bianco: dagli oggetti, come una semplice tovaglia, fino ai loro camici, creando un’estetica coerente e raffinata. Ad accompagnare il tutto, la raffigurazione su schermo degli elementi della natura, dando vita a una performance immersiva e piena.
Il momento culminante e più atteso della serata è stato senza dubbio quello dei Sigillum S, uno special valorizzato da una scaletta esclusiva per la celebrazione dei 40 anni di carriera. Le grandi aspettative del pubblico sono subito state soddisfatte da una carica diversa, un’intensità palpabile, resa possibile dalla presenza di tre menti brillanti dietro le macchine sonore, ognuna impegnata a curare ogni dettaglio con minuziosa precisione.
L’alternanza di immagini e stili ha appagato gli astanti ed un crescendo magistrale ha saputo mescolare ritmiche sempre più vigorose e coinvolgenti con momenti di pausa sospesa, quasi ipnotica. Un percorso sincero insomma attraverso la profondità della loro longeva carriera. Le danze proseguono con una serie di Dj set, tra cui spicca quello della nostra Dj Francesca, che si distingue sempre per la raffinatezza e l’attenzione nelle sue selezioni da dancefloor.

Il sabato si apre con un potente fragore di harsh noise puro, privo di addolcimenti o compromessi. Il protagonista della scena è Moozzhead, finlandese che porta con sé il peso di oltre vent’anni di esperienza nel genere. La sua esibizione si caratterizza per un set breve ma mirato, meno articolato rispetto a quelli più estesi, che riesce comunque a scaricare tutta la forza del suo sound in modo diretto e incisivo. La perplessità è sorta all’incipit dei video; la presenza di un corsetto borchiato ha subito fatto pensare al solito cliché legato al tema BDSM. Invece solo venti minuti di corpi in movimento continuo, seni e fondoschiena che rimbalzavano senza sosta. Era un’espressione ludica? Forse gioiosa? Personalmente, immagino che un’ambientazione in bianco e nero o l’uso di luci intermittenti avrebbe potuto portare una sorta di “purificazione mentale” rendendo l’intero spettacolo più pregnante e coerente. Il progetto parallelo di Trepaneringsritualen, denominato ᚦᛟᚦ ᚷᛁᚷ, propone un approcio unica e veramente affascinante. Questa performance solista si distingue per essere serena e statica, con un’atmosfera quasi ipnotica, costruita sulla semplicità. Il rituale, della durata di 27 minuti, vede l’artista seduto in una posizione praticamente immobile, mentre l’unico elemento a manifestare movimento è l’aria stessa. Durante questo arco di tempo, lo spettacolo scivola in uno stato di quiete meditativa, culminando negli ultimi due minuti in un’esplosione sonora più intensa e vibrante. L’approccio è minimalista e sorprendentemente essenziale: il respiro del performer si integra con gli effetti, accompagnato da una traccia preregistrata. L’esperienza visiva risulta magnetica, il suono evocativo e l’estetica scenica curata nei minimi dettagli. Il tutto si configura come concettuale e non stonerebbe in un contesto museale, dove potrebbe esprimere appieno la sua capacità comunicativa.
La Sektion C, subito dopo sul palco, nasce dalle ceneri della Sektion B, sciolta a seguito di una disputa interna tutt’altro che elegante. I cambiamenti rispetto al passato sono pressoché inesistenti: il secondo “vocalist” non fa più parte del gruppo, mentre i due membri rimanenti continuano a portare avanti l’eredità con un nuovo nome, mantenendo però lo stesso approccio di sempre. Sullo striscione campeggiavano enormi lettere in grassetto con la scritta “GERMAN POWER ELECTRONICS”, anticipando ciò che si è rivelato come prevedibile, volgare e privo di qualsiasi originalità.
Arktau Eos (in esclusiva per la Germania) sembra incarnare un universo al di là dei confini del mondo umano, un territorio che respira attraverso la dimensione rituale della musica e del linguaggio visivo. La loro opera è avvolta da un legame radicato con l’essenza più autentica dell’umanità, evitando deliberatamente qualsiasi compromesso tecnologico o artificiosità moderna. Qui tutto è genuino, palpabile, sospeso tra ciò che conosciamo e ciò che rimane avvolto nell’ignoto. È come se la loro arte si offrisse come uno spazio sacro, un canale diretto tra l’uomo e il mistero che lo sovrasta, utilizzando strumenti concreti e tangibili per invitare gli astanti non al mero ascolto ma a far vivere tutto nell’intimo. Arktau Eos hanno la straordinaria capacità di scuotere le profondità della coscienza, generando stati mentali che sembrano sfiorare l’elemento ieratico. Eppure, ciò che rende questa trasformazione così straordinaria è la sua immediatezza: bastano pochi istanti dal vivo per avvertire la potenza tangibile di un cambiamento che accade sotto i propri occhi. Non si tratta semplicemente di suonare: il loro approccio alla musica diventa quasi una filosofia di vita, una dedizione totale e meticolosa alla creazione di suoni oscuri e rituali. Questa autenticità incrollabile permea ogni aspetto delle loro esibizioni, senza mai sminuire la profondità di ciò che offrono. Ogni nota, ogni movimento diventa un atto di puro impegno, un invito ad esplorare i recessi della percezione in modo vibrante e penetrante.
Passiamo al momento più atteso della kermesse: i Genocide Organ. L’aria si fa elettrica ed un gran numero di persone sceglie strategicamente di non abbandonare il posto conquistato durante la l’esibizione precedente pur di essere nelle primissime fila. Tante altre arrivano apposta, quasi fosse un pellegrinaggio dedicato. Quando finalmente iniziano, la sala è gremita, ogni centimetro occupato e il movimento delle teste e dei corpi tradisce l’energia crescente. La risposta della folla è immediata e viscerale, il coinvolgimento è totale e magnetico. Come di consueto i ritmi sono ben marcati, ma la parte visuale sembra riproporre sempre gli stessi concetti. Tutto è parso troppo preconfezionato. Se l’obiettivo era proporre un’atmosfera vintage, il risultato era all’altezza ma nulla in più.
Infine pari all’aspettativa per i Sigillum S, è stata quella per i Cindytalk, visti recentemente durante il WIF a Wrocław. Hanno completamente estasiato la platea. La formazione era composta da tre membri e l’allestimento si presentava essenziale; però tale semplicità dell’ambiente non faceva altro che amplificare il loro carattere espressivo: paesaggi sonori incredibili, perfettamente armonizzati con la straordinaria voce di Cindy Sharp. I picchi si sono raggiunti quando le già raffinate trame sperimentali venivano spinte al massimo, trasformandosi in un fragoroso e controllato uragano sonico. Infatti anche nelle sezioni più tumultuose, ogni rumore sembrava plasmato con cura e intenzione, un caos orchestrato nei particolari.
Va sottolineato che i Cindytalk non hanno proposto musica nel senso convenzionale del termine: il loro lavoro era un viaggio in cui armonie, tonalità e ritmi si intrecciavano per creare qualcosa di unico.
Anche per questa edizione il Tower Transmissions ha confermato il suo successo, attirando circa 500 partecipanti e consolidando ulteriormente la sua reputazione nel panorama europeo che cresce grazie all’impegno e alla qualità della programmazione.

Daniele Codarin