Indigo “Ancestral Voices” (Samurai Horo)

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Luce e ombra. Come i Vex’D anche gli Akkord brillano chiudendosi nell’oscurità, proseguendo nel continuum sonoro del fu dubstep sempre più contaminato.
Allo stesso modo, riprendendo l’esempio di Roly Porter e Kuedo, anche Synkro e Indigo si scindono in Yin & Yang: più romantico e intimista il primo (le ballatone post di Changes), più ruvido ed esoterico il secondo.
Dei letali incastri ritmici di Akkord Indigo conserva la profonda percezione dello spazio e l’asciutezza del beat ma senza la frenesia urbana, preferendo muoversi in mezzo a trame più larghe, tenute insieme da atmosfere dal sapore mistico.

Liam, questo il suo vero nome, come il suo socio si allontana dalla strada già battuta cercando la direzione giusta su una mappa onirica, ricevendo indicazioni da voci ancestrali, appunto, alle quali si affida per compilare un album che a tutti gli effetti è un concept come non se ne sentivano da tempo.
Un disco coeso, che sviluppa la sua storia secondo uno schema lettario classico: stato di tranquillità iniziale >> rottura dell’equilibrio >> vicissitudini dell’eroe >> situazione di nuovo equilibrio.
Il protagonista del racconto è il suono, messo alla prova dall’artista per verificare la sua abilità di adattarsi a situazioni diverse provando a mantenere la propria identità. Proseguendo nell’ascolto l’impressione è quella di trovarsi innanzi a un elemento vivo in grado di provare emozioni reali, una risonanza spirituale che si manifesta a ogni riverbero, a ogni vibrazione. La drammaticità della narrazione è affidata a tappeti sintetici cupi e solenni.

Considerando i precedenti in coppia, Indigo partiva con il terribile handicap di mostrarsi all’altezza di un livello produttivo già elevatissimo rischiando di patire oltre modo la tensione, invece consegna un lavoro di ottima fattura e grande intensità.

Federico Spadavecchia

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