Zuma ’17: I diversi stadi dell’ipnosi (per non dire dei mariachi)

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Nel tempo libero uno dei miei passatempi consueti è eliminare le pubblicità (o meglio, i “post sponsorizzati”) dalla bacheca di Facebook. Certamente il signor Zuckerberg sa che sono appassionato di musica, quindi i primi suggerimenti a cadere sotto la mia affilata falce sono quelli relativi a label ignobili, o a festival a cui non mi sognerei mai di andare (indizio: Zuma non c’è). L’algoritmo comincia a spazientirsi, ecco l’ultimo blockbuster con Tom Cruise, siti che ti insegnano a cucinare senza sforzo, imparare le lingue senza sforzo, conquistare le donne senza sforzo. Zac. Esce il fumo dal server: ecco una tizia che ti ricrea un’attaccatura di capelli da uomo di Neanderthal (tatuandotela), un blog dal curioso titolo “dimagrire con Totò”, gente che ti insegna come essere elegante in tre comode lezioni, motel (“l’unico nel nord Italia con gli specchi sul soffitto”), compagnie telefoniche ignote, il Movimento 5 Stelle, guadagna due punti nella graduatoria per docenti di scuola media pagando soltanto 450 euro.
Il server esplode. Entra in scena, in sostituzione, una tribù di babbuini: mi consiglia “Flat Earth Society Italia – La terra è piatta” (che credevo fosse una pagina satirica, invece no). Arrivati a questo punto siamo davvero entrati nell’universo parallelo di Zuma, quello in cui mentre chiacchieri tra un concerto e l’altro il sabato sera compare dal nulla una banda di mariachi messicani in sombrero e baffoni che suonano Guantanamera (è successo davvero?).

L’esperienza-Zuma rassomiglia ai vari stadi dell’ipnosi, in cui ci si immerge lentamente (infatti i primi concerti prendono molto alla larga il concetto di psichedelia, notevolissimi sia i Jealousy Party che Bjorn Magnusson ma non proprio indicativi del “genere”) per poi sprofondare sempre più rapidamente.
Il passo da deciso, milanese, diventa sempre più lento e sfaticato, la domenica si crolla sulla sedia e i concerti quasi si subiscono: resiste solo uno spettatore, mi dicono belga (ma chiaramente un alieno chiamato come consulente per la progettazione dell’annunciato ufoporto), sui sessant’anni ma probabilmente seimila, che ha ballato senza soluzione di continuità con movimenti gommosi e armonici, senza versare una goccia di sudore. Al punto da venir considerato parte della coreografia di alcuni concerti.
L’abside (un vero abside di chiesa romanica trapiantato su una casa colonica – origine e circostanze sconosciute, come il Meccanismo di Antikythera) ha ospitato l’anima più elettronica del festival, che si è spinta da subito in territori dark ambient; Everest Magma, Confindustrial Sinfonietta, Deceitful Barren hanno fatto il loro. Denominato Naos, come il sancta sanctorum dei templi greci (ma alcuni hipster, per rimarcare la frequentazione del master in analfabetismo di ritorno, lo chiamavano habsàid, come se fosse inglese), uno spazio limitato dove si poteva entrare solo scalzi e molto spesso si poteva intravedere qualcosa solo da fuori per la ressa. Ressa che non ha minimamente toccato le altre aree dedicate al festival, tutto comodo, ampio, sempre agibile.

Tra la varietà dei concerti proposti (si è notato l’impegno degli organizzatori per proporre una line-up multiforme) hanno spiccato secondo me il simil-free jazz di Jooklo & Gaetano Liguori, il post-highlife martellante dei ghanesi King Ayisoba (costellato di belati metallici), i tedeschi Embryo e la loro fusione fra krautrock e India (nemmeno un membro originale in formazione, tutti giovani ma spirito freak intatto), i Futuro Antico (in una delle poche reunion dagli anni ’70, esempio di gente nata nel posto sbagliato, fossero tedeschi sarebbero famosi almeno quanto i Tangerine Dream – ma davvero Walter Maioli ha annunciato di suonare un “flauto himalaiano fatto di osso d’aquila?” – realtà e sogno si confondono), la passeggiata durante l’ora d’aria dell’ospedale psichiatrico con Tab_Ularasa (il nostro Daniel Johnston), la velocità e la scioltezza delle indiane Mandolin Sisters, il tuffo in uno stagno variopinto con gli Squadra Omega.
E poi lo sleeping concert, i dj set afro e roots reggae. Un applauso al workshop di respirazione circolare Ossigeno, durante il quale sentire la “vibrazione” tanto cara agli hippy non è stata fantasia, ma una sensazione tangibile, un’esperienza da ripetere.
In attesa dell’edizione 2018 posso consolarmi con la follia indifendibile e stralunata della Flat Earth Society, che ovviamente non ho eliminato.

Andrea Cazzani

Foto: Susanna Zaftig

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