Tra sonorità materiche e sinestesie, intervista a F. Vigroux

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Il 22 ottobre esce su Cosmo Rhythmatic, label parallela di Repitch gestita dagli italianissimi Shapednoise, Davide Carbone e Pasquale Ascione, il primo lavoro di Mika Vainio e Frank Vigroux che dopo l’esperienza live hanno portato in studio la loro collaborazione.
Il titolo dell’album è Peau Froide, Léger Soleil, un lavoro composto da nove tracce,  che secondo la label vanno costituire «an exercise in sensitive intensity» che combina i groove electro di Vainio all’esperienza di Vigroux, «nell’astrazione spaziale e nel radicalismo tonale».
Per l’occasione abbiamo fatto due chiacchiere con Frank Vigroux facendoci dare qualche dettaglio in più sul lavoro appena uscito.

Franck, ho l’impressione che oggi nell’ambito dell’elettronica le sole cosa che portano nuova vita al genere, con la loro carica innovativa, stiano venendo fuori da collaborazioni tra artisti che il più delle volte si incontrano dapprima sullo stage e solo successivamente concretizzano in studio l’esperienza live, è stata la stessa cosa per te e Mika?

Si, abbiamo iniziato con alcune performance in Francia e successivamente è venuta fuori l’idea di un album insieme, tutte le tracce sono state registrate in studio ma una di queste è una registrazione del nostro primo live a Parigi.
Penso che questo modo di procedere nel lavoro è davvero proficuo perché suonare live implica una buona connessione e un buon coinvolgimento perché la cosa riesca bene, mentre iniziare una collaborazione in studio ti da più possibilità di ripartire ancora in un secondo momento. Mika ha una grande esperienza nell’elettronica live il che ha reso tutto più semplice.

Ok, allora raccontaci qualcosa in più della vostra esperienza in studio che ha portato alla nascita di “Peau Froide, Léger Soleil“.

Sono trascorsi tre anni tra il primo concerto e la conclusione del processo di registrazione, sia Mika che io abbiamo costantemente prodotto nuovi suoni e nuove tracce, avevamo a disposizione tantissimo materiale, ma alla fine abbiamo comunque deciso di tenere solo una delle tracce venute fuori dal nostro live set e abbiamo iniziato il lavoro sull’album in studio partendo da nuovi materiali, scambiandoci suggerimenti a vicenda sui suoni e sulle tracce. Una collaborazione che per me ha rappresentato qualcosa di molto stimolante ma allo stesso tempo naturale.

Franck, tu sei un chitarrista, un compositore, un musicista elettronico ma tua musica ha una costante che sembra ruotare intorno ad un universo composto da rumore e potenti microsuoni. Recentemente sei stato in tour con “Radioland“, una sorta di decostruzione in chiave jazz di Radioactivity dei Kraftwerk.
In che modo il lavoro dei Kraftwerk con loro alone techno-pop si inscrive nelle molteplici influenze che hanno portato alla costruzione del tuo sound?

Sai, nutro un particolare rispetto nei confronti della musica dei Kraftwerk, posso dire con tranquillità che il concept album Radioactivity ha sempre rappresentato per me un riferimento, loro hanno reso popolari molti suoni che erano del tutto nuovi, ad esempio il vocoder o più in generale la voce trattata con processi digitali, una cosa che io uso da molti anni. In Peau Froide, Léger Soleil faccio spesso uso del mio vecchio vocoder.

I Costruttivisti Russi  si riferivano spesso alle loro creazioni con il termine “oggetti” piuttosto che “opere d’arte”. Così come la loro controparte al Bauhaus volevano investire il ruolo di designer, avere a che fare con la materia tentando diate un corpo a idee che corpo non aveva. Penso che il tuo lavoro sia molto simile: tenti di creare qualcosa di plastico, di materico, la tua musica diviene spesso una sorta di “oggetto” con un corpo e una massa. Questo nella musica elettronica sembra sciogliere il confine tra musica e design. In questo senso ti senti più un artista o un designer nei confronti delle tue produzioni?

In realtà faccio il mio meglio per essere un artista, il che significa che sono totalmente libero nelle mie scelte e nella mia arte che non si conclude nella musica ma in un progetto globale che tenta di mettere in scena la musica fondendola con altri media, lavorare con la musica concreta, scrivere canzoni o sofisticate partiture orchestrali.

Ecco, molti artisti elettronici contemporanei hanno iniziato la loro carriera come programmatori, ingegneri o tecnici passati poi alla musica, al video o più in generale all’arte solo dopo anni di pratica, allo stesso modo in cui molti musicisti tentano di invadere altri campi lavorando con il video, o, ad esempio, realizzando le illustrazioni o la grafica per le proprie release. Come ti poni nei confronti di queste continue incursioni in uscita o in entrata nei territori della musica?

E’ vero, sono sempre impressionato da tutto ciò, ma alla fine la composizione e la forma sono ciò che rimangono… non di rado mi capita di ascoltare cose veramente impressionanti, ma purtroppo il più delle volte le produzioni che ascolto sono noiose e suonano tutte uguali. Con ciò non voglio dire che tecnici e sound designers non possono fare buona musica, ad esempio uno dei miei musicisti preferiti, Bernard Parmegiani è stato un ingegnere del suono prima di iniziare la sua carriera di compositore elettroacustico.

Tempest è una performance live con un forte impatto estetico amplificato dal lavoro visuale di Antoine Schmitt. Quanto consideri importante la parte “visiva” durante un liveset elettronico?

Penso che tempest sia realmente un ottimo esempio di sinestesia nel mio repertorio, ho iniziato a comporre la parte audio mentre guardavo 10000 pixels di Antoine Schmitt muoversi sullo schermo il nostro concept era il rumore sonoro e visivo in una tempesta cosmica, poi continuavo a scrivere la musica e Antoine mi seguiva e così via. Abbiamo portano molto in giro Tempest ma abbiamo sempre continuato a lavorarci su, ora pensiamo di essere vicina ad una perfetta fusione tra immagine e suono, che entrambi produciamo dal vivo. Altri artisti con cui spesso lavoro sono Kurt d’Haeseleer che ha un’estetica molto diversa dall’approccio generativo di Antoine ma mi ispirano entrambi molto e ciò è il motivo per il quale mi piace collaborare con loro e mi apice farlo sempre partendo da un concept. Se non c’è un concept il visual sarebbe semplicemente una sorta di decoro, non avrebbe alcun senso.

Pensando a Tempest, ma anche a molti altri tuoi lavori, la tua musica è solo apparentemente statica, ferma, in realtà in essa sembra esserci un continuo movimento, movimento che spesso ne diviene vero e proprio elemento chiave. E’ solo una mia impressione o sei affascinato dal movimento, anche impercettibile?

E’ vero, c’è sempre movimento nella mia musica, ma non lo analizzo, non ci penso molto su, insomma non seguo alcuna regola, a volte mi piace seguire un movimento sottile lento altre volte uno veloce e complesso.

Allora Franck, Tempest è la creazione di una tempesta cosmica fatta di suono e rumore, ma oltre che qui spesso nei nomi e nell’alone che generi intorno al tuo lavoro, come quello sulla etichetta Cosmo Rythmatic (e qui già il nome…) sembra rimandare a suggestioni astrali e cosmiche. Dicci la verità, sei ossessionato dalla ricerca della vita nell’outer space o stai cercando tu di creare un tuo universo la cui vita è generata dalla tua musica?

Non penso. La mia musica o le mie performance audiovisive sono semplicemente influenzate dalla mia vita reale e riflettono ciò che vedo intorno a me, dai paesaggi urbani agli ambienti naturali,  dal contesto sociale così come dall’ordine politico, io e gli altri miei colleghi artisti siamo solo interpreti di tutto questo universo, reagiamo ad esso, insomma siamo vivi!

Trystero Theorem

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