Jeff Mills: Techno all’ombra dell’Etna

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Jeff Mills è antipatico.

La sua antipatia non è tanto frutto del suo carattere schivo e della sua scarsa empatia con il pubblico, l’antipatia che l’artista di Detroit sprizza da tutti i pori è la stessa che caratterizza da sempre il secchione della classe.
Voglio però  chiarire una cosa: non sto parlando del classico “secchione” che si limita a passare giornate intere sui libri solo per dimostrare qualcosa a se stesso o agli altri, sto parlando di quello particolarmente intelligente, che ama ciò che studia e riesce ad ottenere i migliori risultati possibili con una semplicità tale, da far sembrare tutto un “gioco da ragazzi”.
Mills, è proprio questo, il “primo della classe” che riesce a fare (alla perfezione) anche le cose più difficili con una facilità disarmante. Il suo rapporto con la consolle  è così naturale che sembra nato con i dischi in mano.

Se hai delle ambizioni come dj, dopo aver visto per la prima volta una sua performance, riesci a sentirti così “piccolo” da sentire il bisogno di appendere le cuffie al chiodo.
L’effetto è un un po’ lo stesso che provi quando hai velleità da scrittore e ti ritrova davanti ad un romanzo di Umberto Eco;  magari il Nome della Rosa non è il libro che ti ha cambiato la vita ma, a livello di tecnica e stile, dopo aver letto una decina di pagine scritte dal noto semiologo piemontese la prima cosa che ti viene in mente è:  “io non so scrivere”.
Poi magari ti ricordi che la scrittura (come tutto il resto dell’arte) non è solo un esercizio di stile ma, in quel momento è già troppo tardi.

Tra i diversi nomignoli con cui lo hanno ribattezzato l'”Alieno“, è probabilmente quello più evocativo; Alieno per le sue incontestabili capacità artistiche, ma non da meno anche,  per il  suo comportamento in consolle: se guardiamo alle sceneggiate di Hawtin e compagnia bella, la sobrietà e la professionalità quasi maniacale di Mills,  sembra veramente qualcosa che proviene da un altro pianeta.

Quello che abbiamo visto e sentito sabato al Lido Ibiza di Catania nella serata organizzata dallo staff del Dome, è la sintesi di tutto questo e dispiace dirlo c’è poco altro da aggiungere.
Tre ore di bombardamenti in un continuo salire, senza sosta e senza respiro.  Techno nell’essenza più pura; dura, quasi sempre minimale e lontana dai suoni “barocchi” di una certa Detroit ma, sempre e comunque con un’anima funk.  La musica di The Wizard  è materia viva anche quando a prevalere sono i suoni più “sintetici”.
Il groove di Jeff, da un  lato ti ipnotizza e dall’altro ti scarica dosi massicce di adrenalina ad intervalli regolari.
Inutile dire che il pubblico raggiunge il momento di maggior “estasi” appena sente le prime note di The Bells o quando più tardi nel gran finale il dj di Detroit si lancia nel suo celebre e devastante assolo di 909 .
Brividi sulla schiena a 35 gradi all’ombra.

Per chi ha già avuto il piacere di sentirlo da vivo, Mills è quasi “prevedibile,  ti da “semplicemente” quello ti aspetti e vuoi da lui; fa quello che deve fare e lo fa meravigliosamente bene.
Forse è proprio questo il suo difetto più grande, se lo conosci non riesce a spiazzarti, con lui puoi chiudere gli occhi e lasciarti andare,  ti puoi fidare ciecamente,  con Jeff non rischi nessun incidente di percorso,  comunque vada, qualunque cosa succeda, lui “ti porta sempre a casa”.
Ma la perfezione è antipatica e a volte osservandolo nei suoi movimenti da giocoliere in cuor tuo vorresti che sbagliasse “per vedere l’effetto che fa”.
In fondo, ciò che rende affascinante l’esibizione del domatore, del trapezista o dell’equilibrista è  proprio la possibilità che qualcosa vada storto; con Jeff Mills “purtroppo” questa possibilità non esiste e alla fine  proprio per questo, sotto sotto arrivi quasi ad odiarlo.
C’è poco da girarci attorno, se tutti siamo affascinati dal genio e sregolatezza, lo siamo un po’ meno dal binomio genio e perfezione.

Forse per farci cambiare prospettiva da parte sua basterebbe solo un po’ più di “umanità” ma, mi rendo conto che sarebbe inutile chiedere una cosa del genere proprio ad un “Alieno“.

Samuele Dalle Ave

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