Festival e Clubbing: Un Business da coltivare

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Qualche giorno fa, ragionando con un amministratore di un comune su un evento da organizzare, mi è stata posta la domanda di quale fosse il periodo migliore per collocarlo.
Essendo questo un paese a vocazione turistica, organizzare qualcosa in alta stagione vorrebbe dire poter contare ovviamente su un bacino di spettatori molto elevato. Persone in vacanza senza impegni, già presenti sul posto che non aspettano altro di avere un’occasione di svago.
In poche parole ci si ritroverebbe con la tavola apparecchiata.
Pensandoci bene però i reali benefici per il territorio sarebbero relativi, perchè la manifestazione di per sè porterebbe un riscontro uguale o comunque di poco superiore a quello già sviluppato dalla normale stagione turistica.
La vera sfida, chiaramente non priva di qualche rischio, sarebbe quella di mettere in piedi l’evento in un periodo “morto” con l’indubbio vantaggio di avviare un processo di destagionalizzazione e ottenere di conseguenza un indotto che prima non esisteva.
Questo ragionamento può essere apliccato anche pensando all’attuale scena dei festival italiani di musica elettronica.
Visto che quasi tutti i più importanti eventi si svolgono in città ricche di attrazioni artistiche e spesso in concomitanza con altre grandi manifestazioni già radicate nel territorio, viene da porsi una serie di domande: A quanto ammonta il numero di persone che si muovono esclusivamente per partecipare ai nostri festival? Quante in realtà sono già presenti sul territorio per altri motivi?
Ormai è consuetudine per gli organizzatori snocciolare numeri sulle presenze straniere. Tuttavia se da diversi anni gli Italiani si muovono in massa all’estero per festival e clubbing, quali sono gli elementi per cui il pubblico straniero decide di puntare sull’Italia?
I numeri vantati dai promoter nostrani sono frutto di un turismo festivaliero verso il nostro Paese o riguardano più semplicemente vacanzieri classici che non disedgnano fare un po’ di festa tra una visita al Colosseo e una mangiata in osteria?
Sarebbe molto interessante fare uno studio approfondito dei suddetti numeri.
Temo purtroppo che, nonostante le eccellenze che tutti conosciamo e apprezziamo a livello internazionale, il nostro prodotto faccia ancora fatica a fare concorrenza alle macchine da guerra turistica di Paesi come l’Olanda o la Germania.
Sono decisamente troppi infatti i problemi legati alla burocrazia, alla fiscalità, al territorio e, diciamolo chiaro, alla scarsa considerazione della cultura in Italia.
I numeri non mentono, il giro di affari che genera un ADE o un Sonar (citiamo volutamente manifestazioni commerciali perchè per eventi come Unsound entrano in gioco dinamiche istituzionali più complesse e non finalizzate al solo profitto) con un mix di sperimentazione e nazionalpopolare è un obiettivo a cui dobbiamo necessariamente mirare, magari riunendoci tutti attorno a quel famoso tavolo che tanto si invoca per far bella figura ma che alla fine resta deserto a causa dei propri egoismi inconcludenti.
Occorre cominciare a ragionare in una seria ottica di sviluppo che possa far finalmente rinascere quell’industria dell’intrattenimento notturno di cui avevamo ben intuito il potenziale (la Riviera Romagnola c’era prima di Ibiza) ma che da noi per campanilismi, invidie, rivalità e sopratutto dilettantismo non ha mai raggiunto la piena maturità.

Samuele Dalle Ave

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