Unsound ’14: Vivendo il Sogno

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The Dream, i ragazzi dell’Unsound di Cracovia non avrebbero potuto trovare un motto più azzeccato per questa edizione.
La Polonia, infatti, a dispetto della crisi internazionale sta godendo di un florido trend di crescita (per la banca mondiale il PIL salirà del 2,8% nel 2014 e raggiungerà il 4% nel 2016), e il festival di musica elettronica rappresenta in pieno la voglia del Paese di mettersi in luce.
Lo si nota appena messo il primo piede fuori dall’aereo, poggiandolo in quell’enorme cantiere pronto a diventare un importante scalo internazionale con annessa stazione ferroviaria.
E se il centro storico è già da qualche tempo un grazioso gioiellino, l’ex ghetto ebraico, appena oltre il fiume Vistola, si sta trasformando in un quartiere dal design raffinato.
La celebre fabbrica di Schindler è divisa tra una struttura didattica multimediale che accoglie lunghe file di studenti da ogni parte del mondo, e l’avveneristico museo d’arte moderna Mocak.
In un quadro così roseo è facile comprendere come Unsound sia arrivato al suo apice registrando il tutto esaurito.
Paradossalmente il problema della manifestazione non era tanto attrarre pubblico straniero, sempre ingolosito da line up e costi (il rapporto Euro/Zloty è di 1 a 4 circa), quanto coinvolgere gli indigeni.
Quest’anno, invece, per la prima volta il Polacco è stata la lingua dominante (specie negli eventi dance notturni), a dimostrazione della ritrovata disponibilità economica e del conseguente bisogno di divertimento dopo anni di privazioni.
Per un’intera settimana Cracovia è stato il centro della migliore avanguardia musicale, esplorando, come suggerito dal tema onirico, l’arte nelle sue componenti surreali e trascendenti la fisica dei sensi.
Ephemera, l’installazione simbolo di Unsound 2014, dice tutto: Ben Frost, Tim Hecker e Kode9 sono stati incaricati di comporre schegge sonore che potessero interagire con le componenti visive create da Piotr Jakubowicz, Optigram e MFO, e quindi essere reinterpretate come profumi (Drone, Noise, Bass) dal berlinese Geza Schoen. Vista, udito, olfatto ricombinati nel buio aprono una porta sullo spazio inconscio.

A pochi passi dal quartier generale, situato in un museo nel cuore della città, è semplice imbattersi in talks e concerti pomeridiani come le sessions di NTS Radio, oppure i live di Wanda Group e Valerio Tricoli nella fu lussureggiante tinta rossa del Klub Feniks.
Se l’Inglese della Opal Tapes ci fa trascorrere un’ora di piacevoli rumorismi post industriali, il nostro connazionale strappa applausi scroscianti: manipola nastri e lavora sui riverberi seguendo un filo narrativo coerente e intenso. Un Maestro.
I luoghi sono una colonna portante dell’evento, così speciali da riuscire addirittura a far digerire spettacoli deludenti come quelli dei norvegesi Deathprod e Snowtown: Live tenute nel Kijòv Centrum (un cinema grande e moderno), o quelli da cui ci si sarebbe aspettati di più, come il progetto di Container con i due batteristi al Manggha (un auditorium che lascia senza parole), troppo sbilanciato verso un free jazz fine a sè stesso.
Meno futuristico ma non per questo meno interessante il teatro Laznia Nowa, dove riusciamo ad arrivare soltanto grazie al servizio di navette gratuite messe a disposizione dallo staff (a cui consigliamo di migliorare la segnaletica delle fermate e degli orari).
Tra questi grigi palazzoni sembra di essere ancora nell’URSS.
Unico rimpianto per quei tempi è non aver a disposizione un treno diretto per la Siberia su cui caricare Stine Janvin Motland e Pharmakon.
I loro act sono una deliberata presa in giro: voci campionate e riverberate la prima che se la passeggia per la sala, e irritanti hipsterismi finto noise/industrial per la seconda.
Fortuna che ci sono gli Swans a salvarci le orecchie: due ore e mezza di oscurità e chitarre taglienti; Micheal Gira rimanda la pensione a data da destinarsi.

Riavvicinandoci al centro, una classica dell’Unsound è l’appuntamento al museo d’ingegneria.
Oggi è il turno di Uwe Shmidt aka Atom TM e Robin Fox, che presentano Double Vision, progetto A/V con laser, proiezioni e luci colorate, e dei seminali Nurse With Wound, gruppo industrial isolazionista di Steven Stapleton, anche loro tra gli highlights del festival.
Una graditissima novità rispetto al passato è il centro congressi ICE, un complesso in acciaio e vetro dall’architettura slanciata e sinuosa.
All’interno di uno dei suoi auditorium ascoltiamo il bravo TCF dalla Norvegia (non a caso sponsor finanziatore) e soprattutto i Cyclobe.
Stephen Thrower e Ossian Brown, una volta parte integrante dei Coil, portano in scena uno spettacolo di sublime esoterismo. A loro va il nostro premio per il best live act.
E siamo infine arrivati all’Hotel Forum, monumento maximo al socialismo reale, che ha animato le notti da giovedì a sabato tracciando un ponte musicale tra il vecchio e il nuovo continente e tra passato e futuro.
La prima sera inizia con la migliore esibizione di Vessel più equilibrata rispetto all’Atonal, seguita da un treno techno di nome Chris Carter che, insieme a CoseyNik Colk Void, lascia la folla a bocca aperta tra cui parrebbe esserci anche un certo Marcel Dettmann. Insuperabili.
Non male Ben Frost accompagnato alla batteria, ma non capiamo perchè si ostini a eseguire un progetto d’ascolto in situazioni dance al posto di comodi teatri.
A riportare l’adrenalina sui giusti livelli è Rrose: un live che prende le mosse da un’atmosfera acquatica e ambientale per poi saturarsi sempre di più (stile Aquaplano Sessions) e volare via veloce e mentale riprendendo il discorso Sandwell District.
Sulle spranghe di Perc ci aggiorniamo al venerdì, i cui indiscussi Re sono gli eroi di Detroit.
Dopplerffekt è malinconia per un sogno fantascientifico non avveratosi, Dj Stingray ribalta la pista con vinili electro dal beat contrario alla gravità, e Robert Hood da il colpo di grazia sfoggiando dal vivo tutto il suo incredibile repertorio.

Nell’altra sala, in un caldo infernale, Powell debutta live cavandosela con intelligenza grattando le drum machine sulla carta vetrata. Discreta la chiusura acid djset di Traxx.
Il sabato è ricchissimo di nomi: in sala tre ai comandi per tutta la notte il collettivo Young Echo, giovani e ottime mani cui affidare il destino dell’hardcore continuum.
Ripatti invece alle prese col footwork non ci dice niente di speciale.
Su Jam City meglio non proferir parola per non cadere negli insulti, vi basti sapere che il paragone è con Albano & Romina.
Ottima la scoperta dei Blondes che picchiano e fanno viaggiare, mentre Joey Anderson e Kassem Mosse sono altri di cui ti puoi sempre fidare. Lee Gamble non pervenuto nel senso che nemmeno lui sapeva dov’era e dove fosse diretto con uno show troppo discontinuo.
The Bug e il suo esercito di vocalist fanno a pezzi il Forum: tra e macchine del fumo fuori controllo lanciano bassline come fossero molotov durante una rivolta urbana.
Scappiamo a prendere l’aereo subito dopo Mumdance feat. Novelist. Un concerto interessante che mette in chiaro le doti produttive di Jack Adams ma ci lascia dei dubbi su questa sorta di revival grime che da l’impressione di essere arrivato troppo presto.
L’Unsound è in cima alla vetta, l’Hotel Forum così pieno da non poter più fare entrare nessuno rende l’idea della situazione.
Un successo straordinario ottenuto senza concedere un centesimo a facili scelte modaiole, che diventa ancora più eccitante se consideriamo la risposta entusiasta del pubblico di casa molto più ampio rispetto al solito giro degli addetti ai lavori internazionali.
Educare i clubbers con proposte artistiche di spessore significa formare appassionati alimentando il valore della cultura o, utilizzando venali termini di mercato, clienti affezionati che continueranno a comprare il prodotto a dispetto del cambio delle mode.
Da qui al prossimo anno c’è molto da fare per restare competitivi, su tutto bisognerà trovare nuovi spazi e rimodellare quelli attuali. Ma da quanto abbiamo visto negli anni ai ragazzi di Cracovia non piace tirarsi indietro davanti alle sfide.

Federico Spadavecchia

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