Robot 2014, ora il difficile sarà ripetersi

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Bologna, se la conoscete, non potete non amarla almeno un pò: è materna, con la sua sfilza di portici che ti accompagnano per tutto il centro storico,  è una città studentesca, popolata delle più svariate tipologie di gente, a qualsiasi ora.
Bologna, soprattutto è un po’ folle, con quei suoi personaggi di quartiere eccentrici, o la sfilza di musicisti, attori, personaggi dello spettacolo che riesci a trovare nelle situazioni più improbabili, tra un party di 12 ore e lo shopping mattutino al mercatino della Montagnola o mentre te ne stai seduto al sole in piazza Santo Stefano o sei in coda per vederti un film al cinema Lumiére.
Niente di strano per una città da mezzo milione di abitanti (di cui un quinto costituito da studenti fuorisede). Il bello però, è che tutto questo, tutta la vitalità e gli imprevisti tipici di una città medio/grande  assume a Bologna tinte molto umane, a “portata di mano”, quasi “materne”; insomma,  la città delle due torri calda, accogliente, rassicurante è in realtà una sorta di “paesone”.
Nell’idilliaca cornice del capoluogo emiliano, si inserisce però una creatura  “imponente”, tutt’altro che tipica di un “paeseone”; il Robot Festival.
Nato sette anni fa, con dimensioni decisamente più ridotte rispetto ad oggi, nonostante le aspirazioni alte, nelle prime edizioni, a livello di target dei partecipanti si è limitato ad una dimensione più “local” , quest’anno invece la svolta con una sfilza di novità e la giusta maturità per un festival che vuole collocarsi in un contesto internazionale..
Già nelle scorse edizioni si era notata una progressiva sprovincializzazione del festival, soprattutto grazie ad una politica di comunicazione studiata nei dettagli e ad un gruppo organizzatori che per anni hanno lavorato duramente senza sosta.
Molto hanno influito anche gli artisti presenti alle varie edizioni, nomi noti certo, ma probabilmente mai studiati così bene come nell’edizione di quest’anno.
Diamo un’occhiata alle programmazioni delle edizioni passate, partendo dalla prima, nel 2008.
Oltre a non prevedere location di pregio come il Teatro Comunale o il meraviglioso Palazzo Re Enzo, ricordiamo pochi nomi illustri nella line up con una durata limitata a soli 3 giorni (ma a conti fatti per quanto riguarda la musica solo 2, visto che l’evento della prima giornata era praticamente un cocktail party con dj set preceduto dalla proiezione dell’interessantissimo documentario “We Call It Techno”  conclusosi  poi con un live elettronico).
Certo, i pochi nomi erano  ottimi, calcolando che in tempi non sospetti ci fu anche il live fenomenale di Pansonic, (mentre come alfiere della minimal house, genere dilagante in quegli anni, era presente Frivolous).
Per il resto, senza nulla togliere agli altri artisti presenti in line up, i nomi di grido erano solamente un paio.
Capitolo a parte gli sponsor, ridotti all’osso nelle prime edizioni, se solo si pensa agli attuali partners Red Bull, Lamborghini, Forst e  Jägermeister.
C’è da dire però che, ai tempi non c’era tutto questo hype mainstreamizzato attorno al festival: i presenti erano bene o male addetti ai lavori o bolognesi della movida un po’ più di nicchia.
Insomma, possiamo tranquillamente affermare che oggi, il Robot è cresciuto a dismisura, occupando negli ultimi anni tutti i locali e gli spazi più importanti di Bologna: dal Cassero al Kindergarten, passando per il Teatro Comunale, Palazzo Re Enzo e il Link, senza calcolare tutti gli eventi, installazioni e presenze off-site.
Questo è un festival che si è fatto i muscoli nel tempo, iniziando oggi, a sfruttarli pesantemente.
E’ di fondamentale importanza fare una considerazione sulla line up 2014: oltre alla magnificenza della preview del 20 settembre, a teatro con James Holden, è stata una cascata di nomi di pregio, resi ancora più preziosi grazie alle scelte artistiche tutt’altro che facili. Certo, si potrebbe obiettare con uno snobboso “Seh, e Villalobos dove lo mettiamo?” ma, stiamo bene attenti a non storcere il naso in modo ignorante e prevenuto.
Se infatti quest’ultimo nome è oramai entrato nell’olimpo-pop e ammettiamolo, spesso e volentieri i suoi dj set hanno lasciato un pò a desiderare, in questa occasione non solo si è inserito benissimo nella scaletta, esibendosi ai piatti dopo uno scoppiettante Craig Richards e un adorabile, impattante, onirico, emozionale –Mathew Jonson ma, si è anche dimostrato un consapevole timoniere della console, salpando in mari tutt’altro che piatti, soprattutto a partire dalla seconda metà del set.
C’è da dire inoltre che,  Villalobos è stato anche uno dei pochi djs mainstream se calcoliamo le  decine di artisti impegnati in una trentina di live e dj set.
Le quattro giornate festivaliere si sono svolte a palazzo in quattro maestose sale, mentre le ultime due  hanno incluso anche la componente fieristica , vera, eclatante, novità dell’anno.
Se il primo giorno, quello maggiormente popolato dagli addetti ai lavori, è stato prevalentemente dedicato alle arti visive e performative, dal secondo giorno in poi ha avuto la meglio la musica, elemento fondante del festival, nonostante il grande spazio dato al cinema in Sala del Podestà, lo spazio più maestoso a palazzo grazie alla collaborazione con l’associazione bolognese Kinodromo  e la video-art (copiosa, quest’anno, in Sala Re Enzo, forse pure troppo a nostro avviso).
Una manciata di nomi per rendere l’idea dell’alta qualità proposta a Re Enzo: l’austriaco Dorian Concept, qui presente con il suo assetto da trio, sorprendente come sempre nel dribblare generi strettamente definibili, arrivando a suonare con nonchalance drum ‘n bass psichedelica, in seguito a fraseggi house o momenti più raccolti.
Gli italianissimi Clap Rules, con la loro funky house dubbata, cantata e semi-strumentale.
Wife, con la sua dubstep sporcata da melodie pop e climi dark-ambient, il tutto accompagnato da visuals dal forte impatto psicofisico, oppure il godibilissimo Populous, con le sue commistioni tra caraibico, blanda fidget, amabili lordure black e una terra calda, di nessuno e di tutti, felicemente ballabile o ancora un lanciatissimo Nick Anthony Simoncino, con una sfilza di bombarde viniliche tanto pestate, quanto old school.
E potremmo andare avanti ad oltranza, ma elencare non basta a rendere giustizia alla ricchezza e alla varietà del programma proposto, tantomeno aiuta a delineare l’atmosfera che si respirava: rilassata e serena il primo giorno, molto mondana wannabe il secondo ; eh sì, purtroppo il successo di pubblico ha portato tanta bellezza, ma anche un sacco di brutture a  la tamarindo danaroso bolognese, beatamente strafottente riguardo ai contenuti della programmazione, agghindato con l’abito buono e con l’immancabile prosecchino in mano.
Il venerdì e il sabato, invece, a livello di pubblico, Il Robot ha mostrato la sua vera forza: attirare una marea di gente fortemente trasversale e internazionale, piacevole da gustarsi, sia a livello di pubbliche relazioni, che a livello visivo.
L’età media era abbastanza alta, sicuramente più delle passate edizioni con i soliti personaggioni da mondanità cool (da notare per esempio tra i vari, una new entry tra i presenzialisti da festival, lo zompettante Cattelan, una sorta di presenza sgarbiana, in corsa da una sala all’altra, forse ansioso di farsi vedere il più possibile… Ovunque)


E poi, la fiera dell’orgia dei sensi, ovvero, addentrarsi negli spazi immensi della fiera ed avere due immediate reazioni: un sorriso ebete che ti si spalma in faccia più ci si avvicina al mainstage e poi, i peli che ti si rizzano letteralmente  per la qualità e la potenza del suono.
Camminare estatici con questa espressione ebete, notare l’immensità degli spazi e la folla che li popola, non pensarci due volte e recarsi direttamente verso il dancefloor più vicino, come sotto ipnosi.
I palchi erano due, il Main Stage e quello della Red Bull.
Il palco principale è stato teatro di performance monumentali, dove, a parte i sempre magnifici e perfezionisti Moderat e Jon Hopkins,  le ottime performance di Craig Richards, Gold Panda e Apparat  l’impatto emotivo più grande lo abbiamo avuto grazie a Mathew Jonson che, anche questa volta ha dato il meglio di sé, arzigogolando armonico in differenti campi, in cui quello prevalente è stato una tech-house che davvero pochi riescono a nobilitare al suo pari.
Poi la sorpresa-Villa: inizialmente eravamo decisamente prevenuti, ma, la pausa che si è preso negli ultimi tempi il nostro Ricardo, pare avergli giovato non poco, lo abbiamo sentito infatti fresco ed energico e non abbiamo potuto esimerci dal fare quattro salti, contenti per questo suo sorprendente stato di grazia.

Tanto piacevole, quanto difficilmente raggiungibile (pochissimi sapevano della sua esistenza, ma noi ci siamo stati… tranquilli) la cosiddetta “pro area” per gli addetti ai lavori, una chill out zone al secondo piano, con bar poco affollato, una piccola consolle e tavolini e pareti in vetro davanti alle quali rimanere folgorati alla vista di migliaia e migliaia di persone che ballavano sotto di te.

E poi lo stage della Red Bull.
Il palco di dimensioni più ridotte, che ci ha fattoperò  innamorare, nonostante l’iniziale titubanza dovuta alla sua maggiore illuminazione rispetto al main stage.
E’ stato amore perché con Vaghe Stelle è sempre così, lo è stato grazie a un Moodyman assolutamente a suo agio e deciso a suonare con ispirazione (alleluia!).
Il meritevolissimo statunitense FaltyDL ci ha fatto trattenere il sospiro ed esercitare la tenuta dei polpacci.
Legowelt ci ha coccolati con della romantica ghetto techno-funk, settentrionale house finto melodica e riverberi di Chicago.
Nota dolente: l’assenza di Jackmaster, reo di avere perso un aereo spezzando  il cuore a molti, noi inclusi.
Questa importante mancanza è stata però presto dimenticata grazie alle due performance che a nostro avviso riteniamo le migliori: quelle di Lone portatore di un esaltante spirito Uk rave difficilmente pareggiabile (abbiamo ballato come assatanati per tutto il set, senza sosta) e di Martyn, con la sua techno dubsteppata e adorabilmente asimmetrica.
Due veri mattatori della pista, con una raffinatezza e una cura maniacale iniettate prepotentemente di sonorità danzereccio-emozionali.

Non abbiamo potuto fare altro che andarcene sazi ed estasiati sulle note di The Bells, suonate in mainstage da Apparat il sabato, al comparire dell’alba: quale migliore conclusione di un never ever lost memories Robot Festival? Ai posteri la non ardua sentenza.
In copnclusione dopo tutto questo, sappiamo solo che da oggi, nulla sarà più come prima;  il Robot 08 dovrà non solo eguagliare la qualità dell’edizione di quest’anno, ma anche stupirci a dismisura per toglierci l’ingombrante ricordo di una settima edizione davvero eclatante.

Divna Ivic

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