Frequencies Podcast #9: Andrea Benedetti

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Leggere la biografia di Andrea Benedetti significa ripercorrere le fasi più importanti dell’evoluzione Techno in Italia e soprattutto di Roma, la Città Eterna, che ha giocato un ruolo fondamentale nello sviluppo di questo suono.
Per queste ragioni gli abbiamo chiesto di raccontare attraverso uno speciale dj set di presentarci la sua personale visione della Capitale.

Andrea tu sei il biografo della techno nel nostro Paese, come giudichi lo stato attuale della scena nazionale? Roma sta regalando belle soddisfazioni o sbaglio?
Intanto ti ringrazio della definizione. In realtà io sono solo colui che ha avuto la possibilità di scrivere un libro (Mondo Techno, Stampa Alternativa 2006 n.d.r.) su una delle musiche che più rispetto e che ha cercato di capire cosa sta dietro questo stile e le persone che lo hanno creato.
L’ho fatto più con lo spirito del fan, che con quello del giornalista/biografo che in realtà non sono. Comunque grazie!
La scena techno italiana è sicuramente migliorata se penso agli anni ’90 in cui di informazione ce n’era poca e di locali/serate anche. E proprio la mancanza di informazione ha permesso ha tanti produttori italiani di quegli anni di inondarci di tracce terrificanti che scimmiottavano la trance e la techno europea.
Perché se partiamo dal fatto che la techno è Detroit e etichette europee come Tresor, B12, Eevolute, solo per citare alcune fra le più “pure”, allora possiamo dire che in quegli anni di produttori techno italiani ce n’erano veramente pochi.
Ora il mercato è globale e comprare musica, o comunque sentirla, avviene in tempo reale. Oggi i ragazzi girano il mondo e vedono la differenza.
Fare cose approssimative oggi è più complicato e se lo fai il paragone con l’estero arriva subito.
Questo ha indubbiamente alzato gli standard, ma dall’altra parte, con la crescita esponenziale delle produzioni, diventa difficile emergere. Oggi è più facile produrre un disco che promuoverlo.
Anni fa era l’opposto perché dovevi avere certe capacità e l’apparecchiatura giusta.
Una volta fatto il prodotto c’erano dei circuiti rodati di distributori e dj point che ti garantivano visibilità ed un numero di vendite.
Ovviamente non è che dovevi far uscire tutto e questo è secondo me uno dei problemi di oggi della techno, italiana e non.
Il fatto che dovevi fisicamente stampare un prodotto, ti imponeva una riflessione profonda su quello che dovevi far uscire.
Oggi le release digitali eliminano questo passaggio, il che, se vogliamo, è positivo da un certo punto di vista, ma fa in modo che si venga inondati di un mare di tracce giornalmente, non tutte necessarie e non avendo spesso la capacità e le possibilità di promuoverle. Per cui tante gemme restano nascoste.
Quello che vedo però è un appiattimento stilistico generale. L’eccessiva mescolanza fra techno e house, ha portato ad un ibrido, tutto forma e pochi contenuti.
Se devo quindi restare alle linee guida della Techno originarie che sono evoluzione continua e ricerca stilistica, onestamente non mi pare ci sia molto di che essere felici. Perlomeno da un punto di vista produttivo.
Magari sembrerò eccessivamente selettivo, ma è quello che penso. Pochi riescono a stupirmi e questo è quello che mi aspetto dalla Techno.
Nonostante la presenza di artisti e label notevoli, in Italia paiono spariti i locali techno, sei d’accordo? come te lo spieghi?

Uno dei grossi problemi italiani è stato sempre la mancanza di figure intermedie fra dj/produttori e utilizzatori finali (acquirenti di musica e/o semplici frequentatori di club).
Difficile da noi trovare dei promoter puri. Tutti sono mezzi dj/produttori o magari lo diventano dopo, cosa ancora più anomala.
Quello che ho sempre visto quando giravo all’estero, era invece una netta distinzione su chi faceva cosa. Da noi molto meno e questo ha generato più one night, che locali con una linea musicale precisa, men che meno techno.
Non dimentichiamoci anche che creare un locale, sia da un punto di vista burocratico che economico, non è semplice da noi. Per cui anche quelle realtà che si impegnano molto e vorrebbero mettere su qualcosa, devono affrontare problemi più grandi rispetto ai loro colleghi nel resto del mondo.
Lory D diceva che la techno esprime i disagi della metropoli, pensi sia ancora così o i giovani produttori trovano l’ispirazione altrove?

Quella era una grande verità. E lo credo anche oggi.
E’ stata la pulsione delle prime produzioni di Detroit come anche di grandi artisti elettronici come Aphex, Polygon Window è la Cornovaglia, per me.
Secondo me lo spazio in cui vivi ti condiziona. La città ha delle modalità sociali diverse dal paese. E’ tutto più frenetico, eccessivo.
Non so se ancora oggi sia così, ma sarebbe difficile credere il contrario.
Di sicuro rispetto a prima ci sono i social network che azzerano le distanze. E’ tutto più veloce in termini di comunicazione, ma anche di virtualità del sociale.
I social network sono piazze che non esistono, affollate di persone che non ci sono. Dei fantasmi che appaiono e che scompaiono. Io uso molto i social network per cui lungi da me demonizzare. Anzi per come la vivo io è un metodo utilissimo per stare in contatto con tutti, ma mi rendo conto che per molti, magari i più giovani, può essere illusorio. Il che è forse utile per l’ispirazione che è spesso illusione, ma potrebbe anche diventare emulazione, anche involontaria.
L’idea della riproduzione continua di una performance ad esempio su YouTube o su un file che si ha nel proprio computer o cellulare, non è una cosa da poco. Fino a pochi anni fa era impensabile. Forse non abbiamo ancora visto i risultati di questa nuova contaminazione mediatica.
Per cui per trovare l’ispirazione credo si debba sempre partire dalle proprie sensazioni interne spontanee più che da quelle indotte dall’esterno.
Raccontaci come hai costruito questo mixato
Ho scelto di fare un discorso cronologico sugli inizi di questa scena e costruirlo come se fosse una storia raccontata per musica.
Non è stato facile fare una selezione perché c’era tanto materiale da scegliere e sicuramente avrò omesso qualcosa o qualcuno. Purtroppo un’ora di musica è sicuramente una visione parziale di una scena, ma ho cercato di coglierne l’essenza dei primi giorni.
Quell’anarchia ragionata che è stata il motore di tutto. E’ stata una delle cose più belle, in termini emotivi, che mi sia capitata ultimamente per cui vi ringrazio per avermelo chiesto.
Siamo ancora capaci di immaginare il futuro?
Non so gli altri, ma senza idea di futuro, e quindi in parte anche di sogno, non saprei vivere.

Federico Spadavecchia

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