Elektro Guzzi live in Padova

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A occhi chiusi, l’illusione è accecante: ritmiche asciutte e potenti, linea di basso ipnotica, sentieri  algidamente melodici.
Un live set techno-friendly di pregio? O un dj set dal sapore detroitiano, chiazzato di influenze nordico minimali?
Non proprio, anzi: assolutamente niente di tutto questo.
Apri gli occhi e ti ritrovi di fronte tre ragazzi austriaci, Jakob Schneidewind, Bernhard Breuer,Bernhard Hammer, e i loro tre strumenti – rispettivamente basso, batteria e chitarra.
Un assetto alquanto punk, insomma, rinverdito da tutta una serie di filtri e distorsori piazzati in giro per il palco.
Stiamo parlando di un concerto, quello degli Elektro Guzzi, organizzato dai ragazzi di TheFRAG e tenutosi l’ultimo sabato di marzo al Mame Club di Padova, un ottimo localino – durante la settimana teatro dei più vari generi musicali – aperto in città da pochi mesi.
Un’esperienza eclatante, osiamo buttarla lì. Eclatante proprio a partire dal totale sfasamento audio-visivo che ogni persona del pubblico si è ritrovata a vivere sin dai primi istanti: perché ciò che ascolti mentre i Guzzi performano, è fondamentalmente techno minimale, che si adagia spesso su note malinconico-trance ed euforie house, sempre glissate da uno spesso strato di precisione tanto glaciale quanto poetica.
Ampi assoli di chitarra, che come tale non suona, grazie a distorsori e multipli filtri, quindi tappeti sonori ammalianti, a scardinare in modo quasi psichedelico le ritmiche sferzanti dal basso freddamente galoppante. Poi rinsavisci dalla trance delle danze sfrenate provocate dal trio, e solo allora è come se ti rendessi veramente conto che proprio di un trio si tratta: un agitatissimo chitarrista, un impeccabile batterista e un appassionato e ridanciano bassista.

Tutti i brani suonano sconosciuti, e non per via di remake live e improvvisazioni varie – da cui la band non si tiene mai del tutto lontana – quanto per il fatto che quello che ci siamo sentiti è il futuro album del trio viennese, Observatory, in uscita il prossimo 26 maggio, il terzo Lp per la Macro Records (online da qualche giorno l’anteprima di una delle otto tracce dell’album, Atlas)! Quindi, un grande onore, un’anteprima esilarante – il chitarrista, Berni, a fine serata mi ha confidato che era molto contento dato che era la prima volta che testavano i pezzi del disco nuovo col pubblico e la reazione calda del pubblico gli era piaciuta molto. Insomma, una simpatica sorpresa, una botta di vita (e fortuna!) per tutti gli entusiasti presenti.
Mentre i tre facevano il loro (amabilmente) sporco dovere sul palco, il pubblico ha dato il meglio di sé: assiepato, ingrovigliato, sbronzo di balli sfrenati, estatico – avvistato in tutta la serata un unico I-Phone in fase di ripresa.
Gli altri presenti smartphonizzati erano troppo intenti a sbracciarsi e a sfogare le scosse ritmiche con ancheggiamenti e saltuzzi adorabili. Una goduria alla vista.
E poi: non è così che dovrebbe andare ogni live che si rispetti? Lasciandoti addosso i segni di un’emozione fisica.
Dopo un’ora abbondante di tracce in crescendo, con quella loro presenza scenica così poco austro-ungarica, diciamolo, mantenuta per tutto il concerto, i tre ragazzi si sono brevemente rintanati nel backstage, per poi rimanere in pista a ballare con il resto del pubblico sino ai primi raggi di sole.
Gli Elektro Guzzi sono tanto geniali quanto simpaticamente “cialtroni” a livello di auto-promozione: se andate a dare un’occhiata al loro sito ufficiale, vedrete che le informazioni sono alquanto scarne.
Non si auto-twittano come matti, non fanno pressioni sulle proprie reti di relazioni pubbliche, usano poco il cellulare.
Hanno iniziato a suonare techno perché, suonando già degli strumenti e amando molto il genere, seppur conosciuto in età non troppo tenera, non hanno pensato di dover per forza ricorrere a tastiere e drum machine.
Hanno praticato il Do It Yourself, una delle massime assolute nella filosofia punk. E hanno creato della Techno. Ammaliante e densa di influenze elettroniche nordiche.
Abbattendo il confine tra ciò che si ascolta e ciò che si vede. Un tabù per tutti i più estremi cultori sia dell’analogico che del digitale.
Ma dagli stessi decisamente più che apprezzato in questa interessante nottata patavina.

Divna Ivic

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