Federico Gandin: Se non sogni puoi solo sopravvivere

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Le Officine Grandi Riparazioni di Torino sono l’esempio perfetto di come si dovrebbe sviluppare una società post industriale. Spazi che un tempo erano dedicati alla manutenzione di locomotive e carrozze ferroviarie oggi sono mutati in poli culturali, dove si allestiscono mostre ed installazioni, si realizzano programmi televisivi come l’ultimo di Fazio e Saviano, ed è quindi possibile ascoltare dell’ottima musica.
Tra l’elegante aperitivo in cortile e la maestosa sala Duomo troviamo ai controlli vecchi amici come Gandalf, Gianluca Pandullo alias I-Robots e Roberto Bardini.
Tuttavia il protagonista principale di questo nuovo appuntamento targato Secret Mood è Federico Gandin, una leggenda delle consolle torinesi e non solo, tra i fautori del gemellaggio Torino-Detroit, al debutto come producer con la presentazione ufficiale del suo primo album, Legion of the Lost Dreams, sulla Opilec Music di Gianluca Pandullo/I-Robots.
Quale migliore occasione allora per realizzare una bella intervista?

Ciao Federico, che ne dici se incominciamo subito dal disco? Chi fa parte della Legione dei Sogni Perduti?
La Legione dei Sogni Perduti, simbolicamente, rappresenta un pò la nuova generazione di giovani, quelli che sono in difficoltà adesso per quanto riguarda la crisi economica, quelli che hanno più poche aspirazioni o quelli che magari ce le hanno ma che puntualmente vengono un pò soffocate da quella che è la crisi del nostro sistema economico e sociale. Tuttavia la Legione dei Sogni Perduti è anche la generazione che resusciterà più avanti, magari attraverso l’attenzione per la cultura, la ricerca della creatività e poi di tutto l’ingegno che contraddistingue normalmente il mondo giovanile.
Questo album d’esordio arriva per te in età matura, ed in un momento in cui la nostalgia caratterizza la maggiorparte della musica in circolazione. Che rapporti hai con il passato e quali sono i tuoi sogni perduti?
Ho un bellissimo rapporto con il passato, ho un sacco di bei ricordi legati a svariate serate che ho fatto nella mia vita in giro per l’Italia e soprattutto nella mia città Torino.
E’ anche vero però che la Legione dei Sogni Perduti rappresenta per me quello che avrei voluto fare prima ma che non ho mai avuto la coerenza, e magari la volontà, per finire: un progetto intero legato a tutte quelle che sono le mie influenze musicali.
Ho capito che era giunto il momento di farlo perchè non sarei andato più in là di quello. Fare solo il Dj mi ha portato tantissimo ma sentivo che mi mancava qualcosa a non essere riuscito a sviluppare la mia creatività per quello che riguarda la produzione.
A proposito delle tue influenze già al primo ascolto appaiono chiarissime: Laurent Garnier e Detroit
In parte è così, però, come ho detto in una recente intervista, devo ammettere che tutte le tracce mi sono venute in maniera molto impulsiva. Non sono andato a cercare l’influenza prima per poi produrre la traccia. A seconda dei momenti in cui componevo venivano fuori dei suoni o degli altri, però di sicuro si sentivano molto bene quelle che erano le caratteristiche del mio background musicale.
Il gemellaggio tra Torino e Detroit è ormai ben consolidato, e tu stesso hai condiviso i piatti diverse volte con Derrick May, il quale ha inserito un tuo pezzo nella sua ultima compilation giapponese. Che legame hai con il suono della Motor City? E con The Innovator?
Con Derrick May ho più che altro un rapporto di stima più che di amicizia perchè non è che ci frequentiamo così tanto, se non quando viene qui a Torino per il Movement.
Per quanto riguarda Detroit è la città che sostanzialmente mi ha fatto conoscere la musica Techno.
Tramite Derrick May, tutto il giro della Transmat, della Planet E, e di conseguenza di Jeff Mills e Carl Craig sono riuscito a comprendere quale fosse la vera essenza di questa nuova musica.
Da quel momento in avanti non mi sono più spostato da quel genere, seppure in realtà essendo stato molto influenzato dalle sonorità europee come la prima rave music inglese e via dicendo.

Restando su Torino, è facile constatare come oggi stia conducendo il ruolo di capitale culturale d’Italia, sei d’accordo? Quali sono per te i suoi punti di forza e di debolezza?
Senz’altro Torino è un bacino culturale non indifferente: ci sono tantissime situazioni non soltanto legate all’elettronica ma anche ad altri generi musicali; attualmente sta tornando il rock per fortuna, che si era un pò perso in questi ultimi anni, a scapito probabilmente dell’elettronica che invece aveva saturato il mercato.
Se andiamo a cercare le debolezze non dobbiamo confondere la quantità con la qualità: non per forza il fatto che Torino proponga così tante serate di musica elettronica comporta che siano tutte di alto livello. Bisogna distinguere quali sono le serate intelligenti e serie da quelle più modaiole.
Torino ha tanti bravi artisti, come ne hanno molte altre città in Italia, di sicuro a noi ha avvicinato il fatto che siamo stati una delle prime città ad inserire il fenomeno rave all’interno dei club e non solo delle strutture tipo le OGR esterne al mondo del clubbing. Questo dal ‘91 in avanti ci ha aiutato molto.
Tu inoltre sei stato anche promoter. La Tana! è rimasto un simbolo della nightlife lungo il Po. Cosa ci puoi raccontare di questa avventura?
La Tana! è stato un periodo bellissimo della vita notturna torinese. E’ durato penso 4 anni. Siamo partiti senza nessuna grossa pretesa pur avendo avuto tutti noi delle esperienze forti in città. Abbiamo deciso di fare dei parties insieme, in realtà feste molto semplici, e da lì abbiamo capito che c’era la necessità di organizzare un party techno in un club piccolo dove la gente si potesse sentire a casa. Alla fine volendo regalare qualcosa a tutte le persone che ci seguivano abbiamo deciso di proporre degli ospiti. Il primo fu Aril Brikha nel 2006. Ma l’elemento fondamentale era comunque il clima familiare alla base di tutto.
Negli anni ‘90 hai gestito un negozio di dischi specializzato in import ed oggi sei uno dei responsabili di Fnac. Com’è cambiato il consumo di musica in questi anni? Per te il negozio di dischi può ancora influenzare ed educare il pubblico?
In parte sì, nel senso che per gli appassionati e magari per coloro che sono alla prima esperienza sarebbe corretto affrontare prima un negozio piuttosto che andare su internet, perchè comunque il ricercare i dischi senza andare a sfogliare le pagine on line dove ti propongono già le classifiche sarebbe una cosa più interessante.
Per quanto riguarda l’approccio alla musica rispetto a parecchi anni fà questo è cambiato perchè è cambiato il mondo tecnologico: oggi è più facile trovare un brano che prima magari dovevi andare a cercarlo a Londra, piuttosto che a Tokyo o Berlino. Oggi con un click lo trovi.
E’ anche vero però che internet rappresenta un oceano al cui interno non è così facile andare a cercare i brani giusti al momento giusto.
Oltre al consumo ne è anche cambiata la fruizione: non trovi che la musica sia l’unico caso in cui la praticità ha prevalso sulla qualità? Voglio dire per vedere un film compriamo Tv ad alta definizione mentre per ascoltare un disco il più delle volte usiamo semplicemente il cellulare…
E’ vero, ma penso che, anche sulla base dei fenomeni commerciali che vediamo in televisione, si sia dimostrato che oggi la musica non è considerata un bene utile. Purtroppo è ritenuta quasi un bene di lusso ed in quanto tale se la gente può approfittarne, ususfruendone senza spendere, lo fa senza nemmeno porsi il problema di avere in casa il cd o il vinile. Tutto lì. E’ chiaro che per gli appassionati funziona in maniera diversa, ma questo vale per tutti i campi, non solo quello musicale.
Per un certo periodo della tua vita hai scelto di trasferirti a Londra. Attualmente i giovani artisti scappano a Berlino: solo una moda o c’è di più?
Di sicuro è anche una moda, ma è anche certo che Berlino è oggi il centro culturale dell’Europa. Se tutti gli artisti vanno lì un motivo ci sarà; è chiaro che proprio perchè ci vanno tutti sostanzialmente diventa un passaparola talmente ampio come poteva essere Ibiza qualche anno fà.
Non c’è però solo Berlino, ci sono tantissime città interessanti in Europa tipo Lisbona, Londra, Madrid, Parigi e via dicendo. Poi è chiaro che più le città sono cosmopolite e più hanno la possibilità di offrire diversi generi musicali e soprattutto una qualità artistica più elevata.
Non penso sia strettamente necessario dover andare a Berlino per diventare un artista a tutti gli effetti, anzi i migliori artisti che ci sono nel mondo non vengono dalla capitale tedesca ma ci vanno poi dopo quando hanno l’esigenza di promuoversi. Berlino è un grande canale promozionale, un’immensa fiera della musica.
Quando si ha un bagaglio musicale vasto come il tuo quante difficoltà si hanno a preparare la borsa dei dischi?
Dipende, se ti applichi tante, se invece te ne sbatti poche. Sostanzialmente poi l’esito del set alla fine cambia ahahah La difficoltà vera non è avere tanta conoscenza, il problema è ricordarseli i dischi. Ad oggi è più difficile ricordarsi i dischi che si hanno perchè cerchi sempre di mettere in borsa i migliori, e poi come spesso accade ti dimentichi magari dei brani importanti a casa perchè hai un catalogo molto vasto, e per quanto tu voglia portare tutto hai a disposizione solo poche ore quindi non è così semplice.

Cosa ti piace ascoltare quando sei a casa?
Io ascolto un pò di tutto però tendenzialmente, anche a seconda delle stagioni, mi piace tanto il jazz che trovo molto rilassante e poi perchè credo che il jazz abbia contribuito enormemente allo sviluppo di diversi generi musicali. Ci metterei anche l’elettronica, ma anche il rock, il funk e così via. Mi piace molto la bossa nova d’estate per il ritmo e la dolcezza del Brasile, così come apprezzo il rock psichedelico d’inverno per la capacità e l’eccentricità di alcuni artisti nello sviluppare un brano senza servirsi di schemi convenzionali.

Abbiamo parlato di fenomeni commerciali, cosa ne pensi delle mega stars alla Guetta?
Alla fine sono un qualcosa di positivo perchè sono riusciti a far apprezzare il lavoro che fa il Dj, al di là di quello che possono suonare. Se uno è riuscito ad arrivare a quei livelli è comunque bravo a prescindere dalla musica proposta perchè ha raggiunto un traguardo a cui nessuno era arrivato prima, anche se per noi appassionati la qualità può essere scarsa. Penso che sia interessante per noi Dj che ce ne siano alcuni in grado di muovere migliaia di persone per un concerto solo, e questo la dice lunga su quanto nel futuro la figura del Dj potrà evolversi ancora. Se fino a qualche tempo fà si pensava che questo ruolo potesse morire a breve, oppure agli anni ‘70 quando il mixaggio era abbastanza scarso, con l’eccezione dei vari Lerry Levan che proponevano anche un’ottima musica, ed il Disc Jockey era considerato solo uno che metteva i dischi, ad oggi il Dj sta tornando, con mia grande sorpresa, determinante.
Siamo arrivati in fondo: progetti futuri?
Prima di tutto adesso vediamo come va l’album, e poi la mia ambizione è farne un secondo nel 2013 più bello e maturo di questo, magari anche più particolare. In Legion of the Lost Dreams ho raccolto le mie influenze ed ora mi piacerebbe produrre qualcosa di diverso, non dico di innovativo, ma qualcosa che non sia troppo definito all’interno di determinati generi musicali. La speranza poi è come al solito di fare tanti parties di divertirmi e di far divertire la gente.

Federico Spadavecchia

Fotografie: Roberto BobMoz

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